Con Lukaku la Roma continua a essere una fabbrica di sogni. Pochi giorni dopo la sconfitta di Verona, l’infortunio di Dybala, la problematica assenza di Mourinho in panchina, la passione giallorossa trascina settemila a Ciampino in un pomeriggio di fine estate.
Lukaku però arriva e divide. C’è un calcio, non solo romanista, che lo accoglie per quello che rappresenta, uno dei grandi campioni del nostro tempo un centravanti unico nel suo genere, per la fisicità, l’intelligenza tattica e la generosità che mette al servizio della squadra. E c’è un calcio che lo ignora o, peggio, lo bersaglia con censure troppo banali per nascondere il pregiudizio. Dietro questi stereotipi c’è la miopia di un giornalismo incarognito, che rinuncia a capire. Lukaku non tradisce e non fugge da nessuno.
Piuttosto, come ogni grande atleta, fa i conti con la sua unicità. Che è una corazza di muscoli, tanto robusta quanto difficile da governare. Una zavorra o piuttosto una risorsa, a seconda dell’impegno con cui la sostieni, la solleciti, la sfidi. Il successo è per lui una durissima partita con il proprio lo.
Lukaku cercava un pastore di anime, un tecnico capace di farlo sentire tanto importante da dargli la forza di sollevare i suoi cento chili e librarli a mezz’aria in uno dei suoi stacchi di testa. Mourinho non è un ripiego, ancorché arrivi dopo il fallimento della trattativa con la Juve, e alla fine di questa affannosa ricerca.
È piuttosto l’approdo perfetto, per la fiducia che sa infondere e per il carico di entusiasmo che scatena. Che l’Olimpico farà il resto è una previsione, o piuttosto una scommessa, suggerita dal buon senso e, direbbe il poeta, scevra di servo encomio e di codardo oltraggio. Dai, Romelu, rimonta sulla cyclette e fagli vedere che sai fare!
FONTE: Il Corriere dello Sport – A. Barbano
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