No, non è certamente dalla paura di sbagliare un calcio di rigore che si giudica un calciatore. La conferma alla poesia prestata alla canzone di Francesco De Gregori è arrivata l’altra sera. Perché se un signore come Totti, con 113 tiri dal dischetto alle spalle, ammette che quel penalty «pesava parecchio, è uno di quelli che ho sentito di più», vuol dire che segnare un rigore non è proprio una formalità.
IL COLPO DEL KO – Spalletti a fine gara lo ha paragonato a Muhammad Ali per la capacità di trovare sempre il pugno del ko. In modo più prosaico, Francesco potrebbe essere definito «lo specialista». Con quello segnato ai romagnoli, il capitano ha toccato quota 91 per quanto riguarda le trasformazioni in carriera dagli undici metri su un totale di 113 (Nazionale e Under 23 comprese). Conti alla mano, sono appena 22 quelli non trasformati, nemmeno il 20% (19,47%). Prendendo invece in considerazione soltanto quelli calciati in serie A, i rigori segnati sono 71 su 88. L’ultimo penalty sbagliato da Totti risale al 31 ottobre del 2012 (Roma-Parma 3-2). Un errore solo ai fini statistici perché dopo la parata di Mirante, Francesco ribadì il pallone in rete. Con quella di mercoledì notte, il capitano è arrivato a 12 trasformazioni consecutive. Alcune pesanti, pesantissime. Perché se la cavalcata azzurra nei mondiali del 2006 dipese da quel rigore segnato contro l’Australia a tempo scaduto che non vide nessun compagno, seppur blasonato, prendersi la responsabilità di calciare un pallone che pesava come non mai, dal ritorno di Spalletti a Roma Totti ha spesso segnato in condizioni analoghe. La prima volta contro il Torino, nella passata stagione, a suggellare una favola calcistica (con la rimonta nel finale da 1-2 a 3-2) durata appena 180 secondi ma destinata a rimanere indelebile nel tempo. La seconda contro la Sampdoria, lo scorso settembre. Anche in quel caso sempre oltre il 90’, in rimonta e sotto la Curva Sud. Copione andato in scena anche con il Cesena. Forse ha ragione Lucio: «Quando Francesco calcia la palla, ti restituisce più interessi di una banca».