“Banditi si nasce, non si diventa. Io lo sono sempre stato”. Si può parlare di banditi in una rubrica di tattica? Si deve, in questo caso. Partendo dal fascino che esercita Mourinho presso i romanisti. A che si deve? Forse è l’espressione bohemienne che fa un po’ Clan dei Marsigliesi. O magari l’onda lunga del successo salvifico che ci portiamo dietro dalla coppa di Tirana o anche quel senso di frustrazione per l’altra coppa perduta a Budapest e quelle grida di dolore urlate in faccia all’Uefa e a qualsiasi altro potere precostituito o le battute sempre spiazzanti o quella faccia un po’ così o il magnetismo che esercita sui giocatori e sui suoi colleghi (per ultimo, domenica, Cioffi che gli ha attribuito addirittura un inchino al momento del saluto).
O magari anche solo quella sua meravigliosa capacità di incarnare i pregi e pure i difetti del popolo romanista e a farsene vanto, in un osmotico scambio di emozioni che ha portato ormai a questa simbiosi celebrata poco prima del 90º domenica sera, con la Curva a cantare forte come poche altre volte «Jooo-sééé Mou-rinho, lallalallalallà» e lui a battersi il cuore per tre volte, tanto per essere sicuro che il gesto non venisse ignorato. Deve essere per tutto questo e chissà per quanto altro che non c’è mai stata forse una tale condivisione di anime tra un allenatore, anche i più amati, e i tifosi della Roma.
E anche nell’inizio d’anno più tormentato di tutto il suo percorso romanista (all’esordio si era presentato addirittura con sei vittorie consecutive, l’anno scorso ne aveva vinte tre delle prime quattro pareggiando l’altra a Torino con la Juve), ci ritroviamo adesso a fare i conti con la Roma che è risalita al quinto posto della classifica, a soli tre punti dal Napoli fresco di scudetto, con una esaltante serie positiva di sette vittorie consecutive all’Olimpico tra campionato e coppa e un rendimento esterno che, a parte il buco nero di Genova (e, in coppa, di Praga), sembra comunque adeguato al valore di una rosa che, per inciso, solo adesso, a tre mesi di stagione già disputati, si sta avvicinando ad esprimersi compiutamente.
Che cosa si può rimproverare, dunque, al maestro di Setubal? Forse qualcosa sulla qualità del gioco, vecchia questione che ad ogni sconfitta viene riproposta? Per rispondere a questa domanda basterebbe forse un’altra domanda: la magnifica azione che ha portato al gol di Paulino a pochi minuti dalla fine della partita con l’Udinese sul risultato inchiodato sull’1-1, sarebbe stata possibile se la Roma avesse avuto in attacco giocatori di qualità inferiore rispetto ad Azmoun, Lukaku e Dybala? Chi risponde di sì sa di mentire. E dunque la risposta corretta, il “no”, diventa la prova più lampante che la qualità del gioco che un allenatore può esprimere la danno invariabilmente i giocatori più forti.
A volte si tende a confondere la qualità delle giocate con l’organizzazione, spesso più difensiva che offensiva. E su questo tante volte abbiamo detto che la Roma può migliorare. Ma qualsiasi grande allenatore, anche i più organizzati e preparati del mondo dal punto di vista degli schemi offensivi e dell’aggressività difensiva, per far esprimere compiutamente la propria squadra ha assoluta necessità di avere interpreti tecnicamente all’altezza. Quando ci si chiede perché alcuni tecnici in alcune stagioni fanno bene e in altre meno bene la risposta è quasi sempre nella qualità della rosa a disposizione.
È un discorso che si può applicare facilmente, citando un po’ di allenatori d’attualità, a Sarri, a Di Francesco, a Thiago Motta, a De Zerbi, persino a Guardiola, uno a cui però non è mai capitato di allenare gruppi di giocatori al di sotto dell’eccellenza assoluta quanto meno nel rispettivo campionato nazionale. Ma anche lui è stato messo in discussione nelle stagioni in cui ha dovuto gestire alcuni passaggi a vuoto dei calciatori su cui pensava di poter contare di più. Insomma, ora che stanno tornando piano piano tutti a disposizione i giocatori di maggior esperienza, e si spera che la cosa valga anche per Renato Sanches e Smalling, anche la Roma può mostrare brillantezza nelle sue soluzioni offensive e persino una miglior organizzazione difensiva.
PER CONTINUARE A LEGGERE L’ARTICOLO CLICCARE QUI
FONTE: Il Romanista – D. Lo Monaco