Il murale di Testaccio, quello che lo ritrae sulla Vespa, ha iniziato a scrostarsi al fischio finale di una sconfitta con la Lazio in Coppa Italia. Per la prima volta, dopo quasi tre anni di idolatria, Roma interrompe la liturgia verso il suo totem. José Mourinho non è più intoccabile. Perdere quattro derby su sei senza segnare nemmeno un gol per quattro volte consecutive è troppo. Se scegli di fare dei risultati il tuo unico dio, non puoi essere giudicato che su quelli.
Mourinho può continuare a sventolare orgogliosamente la bandiera delle due finali europee. Ma i numeri raccontano che quella romana è la peggiore versione di sempre del fu Special, peggio persino della sua prima vera stagione da allenatore, al piccolo Leiria, 22 anni fa.
Quando il clima si infuoca, Mourinho sfodera armi che sa usare alla perfezione, trasformando ogni dichiarazione in uno scontro, ogni partita in una corrida e ogni sconfitta in una congiura. Prima o poi, anche tra i fedelissimi, sbatti contro qualcuno che te lo dice: adesso basta. Dopo il ritorno a Roma della squadra da Budapest, la finale delle polemiche contro l’arbitro Taylor, i Friedkin si scusarono personalmente con alcune istituzioni sportive.
Quelle scene sono lontanissime dalla loro idea di sportività. E forse è per questo che Mourinho non ha mai avuto dalla società l’appoggio che avrebbe voluto nella lotta agli arbitri: semplicemente perché la proprietà non la condivide. Per questo del rinnovo non si parla.
Il Milan, domenica, è una frontiera. Basta pochissimo, a questo punto, per veder comparire la scritta “game over”. Ha potuto contare su ogni alibi, fino a oggi, Mou. Ma l’agghiacciante apatia della squadra dopo il gol della Lazio ha lasciato un segno. E il tentativo di scaricare la responsabilità su “Irrati che ha deciso chi andava in semifinale dalla cabina del Var” aveva il suono delle unghie sul vetro. Non sempre basta il passato per garantirsi un futuro.
FONTE: La Repubblica – M. Pinci