Meno venti e tutto va bene. Beh, quasi. Venti giorni possono essere un purgatorio come un sospiro. Il 3 marzo si chiude, continuano a far sapere dalla Regione Lazio, e a quel punto lo stadio della Roma sarà qualcosa che sta prendendo forma oppure, carta da parati. Persino piuttosto gradevole, vista l’eleganza grafica dei disegni e delle ricostruzioni al computer. Diciamo meglio: carta da tribunale, dato che la Roma si rivolgerebbe senz’altro ai giudici se non al governo. Effettivamente i margini per andare oltre con la procedura ordinaria, prolungare il parto o l’agonia, non sembrano previsti dalla legge che si sta applicando nell’attuale frangente, cioè la nuova disciplina sulla costruzione degli stadi. Se ne stanno convincendo anche al Comune di Roma, ne sono piuttosto certi alla Roma calcio. Semmai dal punto di vista giuridico si può sostenere un’altra posizione: cioè che all’ultima e decisiva (anzi, decisoria come amano definirla i burocrati) riunione della conferenza dei servizi, il 3 marzo appunto, non sia necessario presentarsi con tutti gli atti pronti e una variante al piano regolatore già approvata. Basta essere lì con tutti i pareri virati in positivo e un accordo sostenibile sulle cubature in gioco.
REGOLE – La Regione potrebbe non essere d’accordo ma in quel caso dovrebbe assumersi la responsabilità e la paternità di un no. Comunque stiamo già parlando di una fase ulteriore della partita. Al momento ci sono in campo i proponenti, cioè la Roma con il costruttore Luca Parnasi, e la giunta comunale guidata dal Movimento 5 Stelle. E il Lazio fa da arbitro, avendo la titolarità della conferenza. In Regione a condurre la danza è il Pd, che ovviamente ha addentellati anche in Comune e può sorvegliare che si proceda secondo le regole. Il consigliere Antongiulio Pelonzi, per esempio, ha da ridire. Su eventuali tagli alle cubature, sull’integrità del progetto, su chi ne sta parlando: «Se venissero meno le opere infrastrutturali riguardanti viabilità, trasporti, parco verrebbe meno anche l’interesse pubblico. Pertanto tutto il progetto sarebbe da intendersi come decaduto. Ripartirebbe l’iter amministrativo». E annuncia una interrogazione a sindaco e giunta sul ruolo dell’avvocato Luca Lanzalone, sui suoi onorari, su chi rappresenti («L’amministrazione capitolina, la Casaleggio Associati o Beppe Grillo?»). Non sono domande e dubbi peregrini, ma è anche vero che questa iniziativa della Roma per dotarsi di un suo stadio sembra trascinarsi dietro una maledizione: ogni volta che la strada sembra inclinarsi in discesa, compare sempre qualcuno che pone sassi davanti alle ruote e bastoni in mezzo. Comunque alla Roma hanno deciso di non curarsi del chiacchiericcio politico e di concentrarsi sugli aspetti tecnici di quella che è una vera e propria trattativa.
SVOLTE – Lunedì gli ingegneri si rivedono per arrivare alla quadratura di questo cerchio, poi resterà giusto il tempo per stringere gli ultimi accordi molto più politici e arrivare trafelati alla conferenza dei servizi. I proponenti sono sicuri di essere puntuali, il Comune spera ancora di trovare un modo per guadagnare altro tempo più per forma che che per reale volontà di bloccare di nuovo tutto. Lo stadio va realizzato: dicendo e non dicendo come di consueto, lo ha fatto capire anche Alessandro Di Battista, altro esponente pesante del Movimento: «Quando diciamo che qualcosa si fa, si fa». Girano intorno al muro dei 750.000 metri cubi di costruzioni e a qualcosa da togliere alle opere pubbliche per non mandare in rosso l’affare: il parco fluviale potrebbe saltare senza portarsi dietro l’intero progetto. Ma adesso contano più le sensazioni dei numeri e l’ottimismo che filtra da tutte le parti è sufficiente a mandare in ansia chi ha assistito a tutte le svolte inattese di questa vicenda.