L’ex giallorosso, Ebrima Darboe, ora alla Sampdoria, ha rilasciato un’intervista dove ha parlato della sua arrivo in Italia, della Roma e del suo percorso nella squadra genovese:
Le sofferenze del passato l’hanno aiutata a superare i tanti giorni senza calcio? “Sì. In confronto a quanto ho vissuto un infortunio non è niente. A volte però soffri lo stesso, sei giù, ti manca il campo, la possibilità di dimostrare quello che sai fare. Ma guardandomi indietro non poteva essere questo a fermarmi”.
Com’era la vita del piccolo Ebrima a Bakoteh? “Con la palla, sempre. Giocavo scalzo per ore. Studiavo, facevo i tornei tra le scuole. Il Gambia ha tanti talenti, pure più forti di me, ma non hai sbocchi nel calcio, il paese è piccolo, povero. Ho creato un’Academy per dare agli altri la chance che non ho avuto io. Sono orgoglioso di essere gambiano, ma per il mio sogno dovevo partire. E ringrazio l’Italia”.
Partì a 15 anni, senza dire nulla ai suoi genitori… “Il calcio mi ha dato la forza. Mia madre non voleva farmi giocare. Giustamente. Io gli chiedevo le scarpette, lei doveva pensare a come farci mangiare e studiare. Ho due sorelle e un fratellino che ora è nella Roma U16. L’unico che ci credeva come me era mio zio, sono partito con lui”.
Cosa ricorda del viaggio? “Per i giovani è più facile, ho sofferto meno, non mi hanno fatto nulla di male ma ho visto cose brutte, verso i più grandi e le donne. E solo dopo, quando ci hanno salvato, ho capito quanto abbiamo rischiato in mare e sulla terra con quel che ti possono fare in Libia. Sono tra i fortunati. E appena in Italia ho pensato al calcio. A Catania finii in una casa-famiglia attaccata allo stadio. “Bene – pensai – giocherò nel Catania”. Così quando mi trasferirono a Caltagirone non volevo andare, ero disperato, lì c’erano poche squadre. Riuscii a farmi spostare vicino a Roma, a Rieti”.
E lì c’è stata la svolta… “Entrai nella Young Rieti. E incontrai la mia procuratrice, Miriam Peruzzi. Le dissi “vieni a vedermi, sono forte eh”. Rideva: “Ma dove vai con quelle gambine sottili?”. Poi mi vide giocare, cambiò idea: “Non capisco, sono scarsi gli altri o tu troppo forte?”. Iniziai con i provini. Con l’Entella feci due gol al Genoa. I miei agenti mi dissero: “Dai, andiamo alla Roma”. E io: “Ma quella vera?””.
Era quella vera… “Massimo Tarantino mi volle a tutti i costi anche se all’inizio non avevo i documenti a posto, non potevo giocare. Poi mi ha adottato la famiglia di Miriam, con l’ok di mia madre, mi hanno trattato da figlio. Devo tanto ad Alberto De Rossi, un padre. E a due tecnici speciali, Fonseca e Mourinho”.
Fonseca di lei diceva: “In campo Ebrima ci dà coraggio”. È questa la sua forza? “Credo di sì. Non ho paura di prendere rischi, la paura l’ho lasciata sulla barca, nel viaggio dall’Africa. Non puoi solo giocare facile, devi prendere decisioni, dare palloni importanti ai compagni, in verticale. Ma devo migliorare tanto, fare meno errori e Pirlo con la sua tranquillità è l’ideale. Seguo lui e i compagni esperti, ho legato con Piccini. E con Depaoli, Murru, Kasami. Gruppo super, con tanti giovani forti”.
FONTE: Il Secolo XIX