Pensare è dire no. Per tre settimane Paulo Dybala non ha avuto altro nella testa. Il no, spesso soffocato. Ne ha sentite di ogni: le poche cose che gli venivano dette in faccia e le tante riportate. Si è confrontato continuamente con il silenzio, i compagni e soprattutto con le persone più care. Mercoledì scorso ha preso la decisione che non desiderava prendere.
È così semplice: se fosse stato realmente convinto di andare in Arabia, a casa Aramco dove i tifosi sono i dipendenti della compagnia nazionale di idrocarburi, 479,61 miliardi di fatturato e 106,16 di utile netto, e se i 75 milioni avessero prevalso su un tristissimo ma remunerativissimo finale di partita e carriera, Paulo avrebbe detto sì i primi giorni di agosto accelerando i contatti tra le società.
Già il 7 si era tirato indietro. I tormenti e le sollecitazioni esterne sono però proseguiti, come detto, fino al 21, quando il suo agente-non-agente Carlos Novel ha comunicato alla Roma che la Joya aveva accettato l’offerta dell’Al-Qadsiah.
Giovedì mattina l’ultimo allenamento (in palestra) a Trigoria e l’abbraccio dei tifosi davanti al centro sportivo. Poco dopo l’ora di pranzo la domanda è esplosa nella villa all’Infernetto: «E se dicessi di no?».
In quell’istante il no era già definitivo e più tardi il video preparato per l’addio è diventato il manifesto della maturità di un talento puro e amatissimo: sono bastati una strizzatina d’occhio e un appuntamento fissato per la domenica per far impazzire la città e entusiasmare appassionati d’ogni genere.
Il Gran Rifiuto ha naturalmente irritato la Saudi Pro League, ma è stato accolto con gioia anche in Argentina dove la stampa più attenta stava già decretando la fine di Dybala: «Se accetta il trasferimento sparisce dal calcio che conta». Settantacinque milioni contro otto, tre anni contro uno. Paulo è stato capace di capovolgere numeri e durate. Raramente un rifiuto ha prodotto un ritorno di immagine professionale e personale altrettanto straordinario: Dybala è uscito da questa storia con una misura, una delicatezza e una naturalezza difficili da immaginare fino a pochi anni fa.
Il suo no rappresenta inoltre una delle rare accensioni emotive di un’estate di amarezze, rinunce, abbandoni, attese e atteggiamenti di società e calciatori davvero censurabili. Bene ha fatto la Roma ad assisterlo soprattutto nella fase finale, dopo essere passata da vittima a carnefice, a spettatrice di un’operazione condotta male da tutte le parti. In particolare dai sauditi. Il no deve essere interpretato anche come un’ulteriore assunzione di responsabilità da parte di Paulo: l’esempio è proprio De Rossi, la cui carriera è stata segnata da momenti di notevole sofferenza fisica per il bene della squadra. Per non farsi mancare.
PS. Il voler attribuire il rifiuto alla moglie e alla madre di Paulo mi è sembrato un tentativo (evitabile) di togliere il merito della scelta al giocatore. Io lo considero un segno di maturità e generosità: quando devi prendere una decisione importante, che coinvolge e può scombinare anche la vita delle persone che ami, il loro parere non può che risultare vincolante.
“C’è qualcuno che non sa
Più cos’è un uomo
C’è qualcuno che non ha
Rispetto per nessuno
C’è chi dice no
C’è chi dice no
Io non ci sono
C’è chi dice no
C’è chi dice no
Io non mi muovo”
Sarà perché mi piace troppo Vasco l’anticipatore…
FONTE: Il Corriere dello Sport – I. Zazzaroni