Chiedimi se sono Felipe, sembra suggerire la smorfia di Spalletti, mentre intimamente ringrazia Felipe Augusto de Almeida Monteiro, il brasiliano involontario autore del primo gol ufficiale della nuova Roma, pesante per adesso come un menhir. Il pareggio strappato in Portogallo, giocando in dieci tutta la ripresa per l’espulsione di Vermaelen, dopo aver assaporato una vittoria esterna che in Champions manca da sei anni, avvicina i giallorossi alla fase a gruppi e ingrassa l’autostima di una squadra che nelle ultime due stagioni ha vinto solo due partite nella coppa regina. Eppure, dopo un avvio effervescente e un primo tempo chiuso meritatamente avanti, è servita una seconda parte di gara raccolta, sacrificata e anche un pizzico fortunata per salvare la pelle in inferiorità numerica, e tutto questo sospende il giudizio e lascia tutto in gioco in vista del ritorno di martedì all’Olimpico. Perché la bella Roma d’avvio è stata costretta dagli eventi a struccarsi quando il ballo non era ancora finito. La squadra di Spalletti ha addentato la partita senza dire permettete, morso i polpacci di André André e Danilo, esaltato le geometrie di Strootman e la verve di Nainggolan, scavato buchi a centrocampo per infilarci le ripartenze dei suoi cursori, e avuto infine in Dzeko il taglialegna tanto prezioso nella sponda quanto sciagurato nella finalizzazione. In un’azione dai contorni fantozziani, il bosniaco si è trovato fra i piedi un clamoroso regalo di Casillas in versione ragionier Filini, ma è riuscito nell’impresa di centrare, a porta vuota, lo stinco dell’ex interista Telles in disperata rimonta sulla linea. Con un altro stinco, tuttavia, la Roma è passata (il maldestro Felipe su corner di Florenzi), legittimando nel risultato la sua partenza migliore, come ricordano i brividi procurati dalle folate di Salah.
Tradendo le promesse di inizio sera, la partita è cambiata un attimo prima dell’intervallo, per l’espulsione inevitabile di Vermaelen, già ammonito e reo di un calcione in petto ad André Silva lanciato a rete. Il secondo giallo a Verminator ha ribaltato ansie e strategie, costringendo Spalletti a coprirsi con Emerson per l’intermittente Perotti. La Roma, più o meno inconsapevolmente, si è consegnata ai Dragoes, si è rintanata in trincea e non è più uscita neppure in perlustrazione, quasi attendesse il suo destino ineluttabile per via dell’uomo in meno. Un errore, questo. Il Porto ha fiutato l’aria e cambiato passo. Ha gridato al pari subito con Adrian, convalidato e poi annullato per fuorigioco dopo lungo conciliabolo fra Kuipers e l’assistente Van Roekel. Poi ha trovato da corner il modo per rimediare: braccio colpevole di Emerson, una specie di contrappasso per l’autorete iniziale. Il rigore lo ha segnato la stellina più luminosa del nuovo corso: André Silva compirà ventun anni a novembre, si è già rivelato al mondiale U20 un anno fa ed è considerato il centravanti dell’avvenire per la nazionale campione d’Europa. Gli manca ancora la cattiveria: prima e dopo il pari, ha graziato due volte Alisson, lasciando in vita la Roma e dandole il motivo per festeggiare al fischio finale