Quando domenica ho spento la tv pensavo di non vedere una cosa peggiore di Di Canio che difendeva da solo la Roma: fino a ieri mattina. Nel comunicato dell’esonero c’è scritto: “A Daniele, che sarà sempre di casa nel Club giallorosso…”. Cioè tu – tu generico – stai cacciando De Rossi di casa mentre gli dici pure che è casa sua? Se non è casa di De Rossi di chi è? Della Roma? Sì, appunto e ieri da lì avete tirato giù una bandiera.
Le bandiere si rispettano, non si usano come coperte per coprire il buco della ferita dall’esonero di chi aveva vinto due coppe in un anno e che era fastidiosamente popolare. E poi non si sventolano a caso rinnovandogli un contratto a giugno e dopo 4 partite, le ultime 2 con 2 pareggi in trasferta (uno a Torino con la Juve, uno al 96’ a Marassi col Genoa), con 11 giocatori nuovi, 4 arrivati negli ultimi due giorni, 6 titolari, un ds arrivato a giugno, per poi metterle in cantina: che fai tipo “famo er pokerino, famo er pokerino e poi con tre ganci te la fai sotto”?
Prove tecniche di trasmissione ‘ste prove tecniche come motivazione. Perché Daniele De Rossi ha dimostrato di non essere solo una bandiera. Daniele De Rossi ha dimostrato una cosa più grande: è stato se stesso. Non è stato un ruffiano, non è stato aziendalista come, da un certo momento, con connotazione negativa, si è cominciato a dire. Era solo “regolare”, professionista, corretto separando le cose da dire all’esterno e all’interno, con la società, con i calciatori e con i giornalisti.
Quando questa separazione non è stata più possibile, Daniele De Rossi, continuando a essere se stesso, ha cominciato a dire qualcosa anche fuori: “Certe domande non le dovete fare a me?” (e certe risposte non può darle Di Canio). Ma lo ha fatto perché per lui a quel punto era meglio per la Roma. De Rossi ha difeso tutti, non solo i compagni, i calciatori, i tifosi, ma pure chi poi lo ha cacciato. Ha sbagliato? Credo che chi è della Roma non abbia il privilegio di certe scelte. Non doveva accettarla? Come fai a dire di no alla Roma? C’è qualcuno di voi se è della Roma che direbbe no alla Roma?
Tu – sempre tu generico – mi potrai dire: a volte per amore si lascia e non si prende, a volte andarsene è una forma di amore. Vero, verissimo, profondo, ma è quello che ha fatto Daniele De Rossi rimanendo se stesso: non si è tirato indietro, ha fatto i tackle, ha giocato con passione, ha rischiato, gli si è chiusa – forse – anche la vena, e ha pagato. È uscito dal campo. Cacciato da casa sua. Sapendo che quello era il prezzo. Una cosa Daniele: questo sogno che t’hanno fatto vivere troppo presto, te l’hanno tolto talmente troppo presto che immaginarti un giorno sulla panchina della tua vita non solo torna possibile, ma persino probabile.
Cinque-dieci-vent’anni ma ricapiterà. E magari quel giorno ti chiamerà qualcuno perché crede in te non per tappare un buco, ti chiameranno per come alleni i tuoi giocatori, in campo e fuori, non per rubarti l’effigie di bandiera e poi stracciarla, ti chiameranno e anche noi, anche io finalmente potrò godere di quel momento e non ritrovarmi come il 16 gennaio senza la possibilità di elaborare un “lutto” (sportivo, s’intende) che non sapevo se essere il tifoso più ferito del mondo, perché mi stavano togliendo il mio allenatore, o il più felice, perché mi stavano dando un sogno di allenatore.
Dopo una vita da romanista e da “derossista” mi hanno fatto sentire quasi in colpa con te perché nel giorno in cui tu realizzavi un sogno che non era solo tuo, ma anche mio, ero ancora triste per Mourinho: è stata la cosa più imperdonabile. Almeno fino a ieri, persino peggio di aver visto domenica sera soltanto Di Canio difendere la Roma.
Sappi che sei stato speciale anche in questo addio: l’ultima tua immagine con la Roma è di te che corri via, lontano da una decisione sbagliata, da una situazione sbagliata, espulso dal campo. Anche ieri ti hanno cacciato dal campo, dopo una decisione sbagliata, dentro una situazione sbagliata, e mi piace pensare che te ne sia andato di corsa via fiero con la Roma in vantaggio.
FONTE: Il Romanista – T. Cagnucci