Fabrizio Lucchesi, ex Direttore Generale della Roma durante la gestione di Sensi, oggi ricopre lo stesso ruolo al Taranto, ha rilasciato alcune dichiarazioni parlando del momento che sta attraversando la Roma. Di seguito le sue parole:
In questo momento stai portando avanti un’ avventura al Taranto, com’è la situazione? “Sto facendo un lavoro che è quasi terminato come consulente, dovevo rimettere a posto le cose per permettere al club di essere ceduto. Ho chiamato Gautieri e mi auguro che la nuova proprietà possa aiutarlo. Taranto è una grande piazza, ora non addosserei responsabilità a Carmine. Taranto è una piazza calda, è una città che da anni ha problemi di quotidianità, la crisi dell’ILVA ha contribuito in modo devastante. Il calcio è un fattore sociale importante. L’insoddisfazione della gente è da comprendere, la zona è eccezionale, c’è il mare, il clima è ottimo.
Ieri pensavamo a te, tu hai avuto un periodo d’oro con la Roma di Sensi. Quella era una Roma in tempi drammatici dal punto di vista della sportività nel calcio, erano anni complicati in cui la Roma si faceva rispettare. Se dovessi dare un consiglio a qualcuno dentro la Roma oggi, cosa gli diresti? “Io credo che alla base ci sia un modello di azienda che qualche punto debole ce l’ha. La Roma deve avere un peso specifico perché portatrice di valori. Oggi il modello della Roma porta ad avere dei manager stranieri, nessun italiano. Io ho anche apprezzato il fatto di non parlare mai ma mi auguro che si facciano sentire, qualche dubbio ce l’ho. Ci vogliono dei rapporti, noi con Sensi eravamo in battaglia con il Milan, alla fine noi c’eravamo. Avevamo un peso specifico, quando Sensi andava a Milano, era Franco Sensi. Noi abbiamo sempre mantenuto una posizione che ricercasse il bene comune, cioè che favorisse il sistema e che noi avessimo un peso specifico. La Roma merita questo in questo momento e altre squadre lo hanno”.
Ricordo la scena con Pradè che prende sotto braccio Sensi e lo allontana. La Roma che lottava contro i poteri con tutte le sue forze. Oggi la sovrapposizione tra tifoso e società non c’è più… “In quel periodo, cercavamo di crescere dal punto di vista editoriale e mettemmo in piedi Roma Channel, che aveva lo scopo di creare un canale comunicativo. Si cercava di far crescere l’immagine della Roma nel mondo, andammo a New York per giocare contro il Real Madrid. Facemmo tanta beneficenza. Un’azienda che cresce aveva rapporti importanti, anche con il Vaticano.
Che percezione c’è della Roma di oggi? “Si tratta di una proprietà importante ma che non è riuscita a farsi percepire come tale. C’è quest’aria di intangibilità. Sul piano sportivo non si riesce a decollare, ogni due anni cambia allenatore. La Roma deve stare tra le prime quattro. Si deve cercare di valorizzare tutto il ben di Dio che si ha. Con Sensi lo facemmo e raccogliemmo anche delle gioie incredibili per il popolo romanista. Avevamo una squadra fortissima, anticipammo 70 miliardi per prendere Batistuta al secondo anno, perché Sensi mi disse che era vecchio (ride, ndr). Ogni anno prendevamo due-tre campioni per crescere e con Batistuta fummo anche fortunati. Era una squadra di campioni, con loro è più facile. Capello fu un allenatore formidabile, creò il nucleo perfetto”.
Il dirigente di campo come deve supportare l’allenatore? “La Roma ha scelto un modello aziendale che non posso che condividere. C’è una proprietà forte e qualche figura aziendale che opera con delle logiche con poca possibilità di manovra. L’allenatore si trova spesso solo. Non c’è una catena strutturata. Considero Juric un grande allenatore ma le grandi partite le vincono i calciatori. Arriva De Rossi, raccoglie il consenso del popolo romanista. Farà l’allenatore vero da grande, ma poi ci devono stare i giocatori. Quando era il suo compleanno, inviai un messaggio in radio dicendo che si sarebbe dovuto far fare la squadra (ride, ndr)”.
FONTE: Radio Romanista