L’ex giocatore della Roma e commentatore televisivo, Alessio Scarchilli, ha rilasciato alcune dichiarazioni:
Nel tuo biglietto da visita posso mettere 16 anni di Roma? “16 anni post calcio. Calcisticamente sono cresciuto a Trigoria, la Roma mi acquistò a 12/13 anni e feci tutta la trafila fino a esordire con la squadra della propria città e l’ultimo esempio è Pisilli. La mia passione era diventata una professione. All’epoca la Roma partiva dai giovanissimi e organizzava il torneo ‘Primi Calci’ in cui partecipavano le società affiliate e da lì aveva la prelazione sui ragazzi che voleva portare al Tre Fontane dato che Trigoria era nata un anno dopo”.
Ora cosa fai? “Sto studiando, il calcio è in continua evoluzione. Chi è stato in campo ha dei vantaggi, si può studiare tutto ma l’esperienza all’interno di uno spogliatoio non si può studiare. Inizialmente mi sarebbe piaciuto prendere il patentino da allenatore ma alla fine non l’ho mai iniziato. Grazie alla Roma ho però avuto l’opportunità di lavorare al fianco di ds importanti e sono stati una grande scuola. Inoltre entrai a Roma Channel e ho avuto la fortuna di vedere il metodo di allenamento di tanti allenatori. Questo mi ha permesso di fare un aggiornamento continuo. Ora sto facendo il corso da direttore sportivo”.
Ci sono sempre meno uomini di calcio dentro i club? “Sì, viviamo in un mondo di dati e statistiche. Ci sono meno uomini di calcio rispetto a prima perché le società si sono allargati e ci sono vari dipartimenti. Una società ambiziosa e sostenibile ha bisogno di tutto, ma poi chiaramente ci sono i ruoli e le competenze e soprattutto il fulcro di tutto è una squadra competitiva. La squadra forte ti rende appetibile per i giocatori forti e anche a livello societario. Le proprietà devono avere la capacità di saper scegliere le persone giuste”.
Come funziona il dipartimento scout? “E’ giusto che monitori tutto il calcio, che proponga profili. Nel calcio di oggi dovrebbe esistere un dipartimento scout del club perché ci sono anche gli scout che si porta un ds e un domani può andare via. Il dipartimento scout e il ds lavorano per l’allenatore ma allo stesso tempo per il club. L’importante è conoscere bene il parametro per cui stai lavorando e se parliamo di Roma è la Champions League, poi ovviamente bisogna fare un lavoro a 360 gradi. Noi abbiamo fatto il nostro fino all’ultimo giorno e nel contenitore che si chiama AS Roma System ci sono tantissimi calciatori che ancora seguiamo”.
Chi dovrebbe valorizzare il lavoro dello scouting: l’allenatore o il ds? “Più il ds. Il ds ha il filo diretto con l’allenatore ma allo stesso tempo si appoggia allo scouting. A volte i ds e gli allenatori non hanno il tempo materiale per conoscere tutti i calciatori. Loro ti possono chiedere delle caratteristiche e tu cerchi di accontentarli e in questo aspetto rientra anche il lato economico. Non è il prezzo che fa la qualità dei calciatori, l’importante è arrivare il prima possibile sui calciatori. Noi abbiamo convissuto con dei paletti del Fair Play Finanziario con Tiago Pinto che non ci ha permesso di acquistare i cartellini. La Roma quest’anno lo ha fatto, mentre noi dovevamo stare sotto il transfer balance e acquistare i calciatori in prestito o a zero. Non è così semplice, ci sono tante cose che rientrano in una trattativa”.
Pinto disse che la Roma aveva una lista A, B e C legata ai giocatori osservati: oltre al valore quali sono le caratteristiche che inseriscono un calciatore in una determinata lista? Quale giocatori seguivate alla Roma e pensavate potesse diventare un fenomeno e alla fine lo è diventate? Chi invece non è riuscito a diventare un fenomeno? “Pinto spiegò quella cosa che rappresentava il modo smart e veloce con cui segnalavamo i calciatori. Non c’erano delle vere e proprie liste ma quando volevamo prendere un calciatore lo etichettavamo come ‘A’, poi c’era quello da monitorare con interesse, poi quello da monitorare e quello che secondo noi non avrebbe fatto al caso nostro. Questo accelera anche il lavoro del ds, sennò dovrebbe andare a leggersi tantissime relazioni e non ce la farebbe. Bisogna essere veloci e rapidi ma non è semplice. Ancora oggi seguo i calciatori che ho segnalato alla Roma per vedere se le altre società la pensano come me. Noi siamo stati abbastanza bravi. Le nazionali giovanili ti danno un’idea della dimensione del calciatore ma è molto importante conoscere le piazze e le caratteristiche culturali di una società e di una città. Io so che se prendo un giocatore sudamericano a 16 anni dal punto di vista della personalità è già formato, lì emergi per il talento e per la personalità. Arrivano grezzi in prima squadra ma quando vengono in Europa affinano tecnica e tattica. Ricordiamoci il primo Batistuta, inizialmente sbagliava qualche stop poi iniziò a spaccare le porte con i suoi tiri”.
FONTE: Radio Mana Mana Sport