Conta vincere. È il dogma per eccellenza di un calcio ricco di luoghi comuni vuoti di significato. L’ultimo a ricordarcelo è stato Antonio Conte che comunque meriterebbe un dottorato ad honorem. In questo senso, conta vincere, la Roma europea da troppi anni panacea di quella italiana, ha centrato l’obiettivo nel terzo appuntamento del mega girone voluto dall’Uefa, ma che a noi sembra un obbrobrio.
Alzi però la mano chi è rimasto non diciamo soddisfatto, ma che ha visto progressi nell’evoluzione di una squadra che fa una maledetta fatica a essere tale, al di là delle carenze strutturali della rosa, di una qualità che si conta sulle dita di una mano, di un gruppo che ancora non sa riconoscersi, di un inizio di stagione in cui la società, almeno quello che resta, ha fatto una serie di errori che neppure volendolo ci sarebbe riuscita così bene. Non vediamo mani alzate.
Su questo ci auguriamo che a Trigoria si stiano interrogando. Avendo come obiettivo quello di provare a cambiare una tendenza che al momento non garantisce nessun orizzonte. Perché la vittoria contro le riserve della Dinamo Kiev, tutto è stata meno che la luce in fondo al tunnel. Questa Roma così non funziona.
E’ lenta, piatta, noiosa, con poche e confuse idee, con un gruppo di giocatori che non sono un gruppo, fa una grande fatica a segnare e a mettere in condizione le sue punte (che poi è una, Dovbyk) di tirare verso la porta avversaria, fateci caso nelle ultime due partite i portieri avversari nelle pagelle di fatto avrebbero meritato un senza valutazione che dice tutto.
Non può essere sufficiente dire, dopo, però contro gli ucraini ha vinto ed è questo che conta. Solo chi è a digiuno di calcio può sostenere una tesi di questo tipo, con l’aggravante che così si fa solo il male di una squadra che, al contrario, dovrebbe essere capace di capire errori e limiti per provare perlomeno a diventarlo.
Juric, in questo senso, dovrebbe essere il primo a rendersene conto. Cercando di capire che l’integralismo tattico a cui finora si è consegnato, può portarlo solo a salutare anzi tempo rispetto alla naturale conclusione di un contratto che dice trenta giugno del prossimo anno (altra follia di una proprietà dirigenza che non ha capito nulla di come funzionano le cose nel calcio). Juric, adesso, dovrebbe rendersi conto che c’è bisogno di qualcosa di nuovo per provare a cambiare una tendenza che non può portare che ai condivisibili fischi di una tifoseria sempre più esasperata.
E allora, senza voler insegnare niente a nessuno, noi ci permettiamo di dire che questa Roma ha bisogno di un’idea. Che noi, in sintesi, sintetizziamo con un modulo tattico diverso. Quattro difensori (quei pochi esterni presentabili sono più giusti a quattro), un centrocampista in più, un trequartista in meno, una punta in più (pure se di punte ce ne sono pochine). Ovvero quattro-tre-uno-due. Provarci è peccato mortale? La risposta è un dettaglio, tanto peggio di così non può andare.
FONTE: La Repubblica – P. Torri