Magari quando l’arbitro Fabbri fischierà l’avvio di Roma-Torino (ore 20,45, telecronaca esclusiva su Dazn, radiocronaca obbligatoria su Radio Romanista) riusciremo a dimenticare tutti i pensieri negativi della vigilia e ci concentreremo solo sulla partita, sulla necessità di battere il Torino per scacciare via inquietanti fantasmi, sulla Roma che gioca e che va sempre sostenuta e appoggiata, ognuno per quello che può. Certo è che la vigilia della 10ª giornata del girone d’andata, dopo la cinquina rimediata alla 9ª, è stata tra le più tormentate che si potessero immaginare, sia dentro Trigoria sia fuori.
Dentro, deve essere stata persino peggio di come è stata raccontata, almeno a sentire le cruente conferme di Juric che nella conferenza stampa prepartita ha candidamente ammesso che ci sono stati confronti “violenti” con i giocatori, discussioni pesanti, litigi. Qualcosa si deve essere rotto nello stesso momento in cui l’allenatore non ha rispettato quel patto di non belligeranza che era stato idealmente firmato dal momento stesso in cui è arrivato a Trigoria a sostituire De Rossi e con concetti chiari in allenamento e con parole accoglienti e comprensive aveva aspettato che i giocatori elaborassero il lutto per l’esonero dell’allenatore precedente per abbracciare in tempi brevi il nuovo progetto.
Ma poi le difficoltà sul campo si sono palesate lo stesso e quando il tecnico ha accusato i giocatori di non avere la giusta mentalità vincente potrebbe essere scattato lo stesso meccanismo che a un certo aveva incrinato il rapporto con Mourinho 10 mesi fa. Nessuno né allora né a Firenze pensiamo sia andato in campo per penalizzare la squadra o ammutinarsi all’allenatore, ma certo un po’ di convinzione deve essere venuta meno. Per Juric paradossalmente potrebbe essere stato un bene.
Ma che altro dovrebbe dire, del resto? Sa benissimo che la sua esperienza a Roma – salvo miracoli – è già virtualmente conclusa e non può che confidare per l’appunto nell’unico miracolo possibile in grado di fargli conservare la panchina: una serie di vittorie consecutive a suon di convincenti prestazioni. A dimettersi, forse anche giustamente, essendo il meno colpevole dello sfacelo in cui si è trovata la Roma quest’anno, non ci ha mai pensato.
(…) Non è certo l’amore che è venuto meno, ma l’entusiasmo con cui lo si stava celebrando fino a un mese e mezzo fa. Con De Rossi si vedeva comunque una prospettiva negata solo dai soliti contestatori da social network, quelli che alla prima sconfitta reale o virtuale si mettono a insozzare le vite degli altri, come se le loro pullulassero di continue vittorie. Ma l’orizzonte lo percepiva anche il più ottuso degli osservatori. Adesso non c’è più nessuno a scaldare il cuore: né il presidente invisibile, né un dirigente di riferimento, né l’allenatore, tantomeno la squadra, sempre più confusa e smarrita.
(…) È l’ultima beffa del destino: proprio quando pensava di essersi affrancato dalla gestione di squadre mediocri, contro di loro è costretto a giocarsi una piccola parte di più nobile futuro. che, detto tra noi, appare a tutti già segnato.
FONTE: Il Romanista – D. Lo Monaco