Il richiamo del campo ancora troppo forte. Quello della Roma poi, da fargli scoppiare la testa. Aveva smesso, sembrava determinato, quel “basta” pareva definitivo. Evidentemente, però, era solo un’impressione. Per noi, ma anche per lui. Perché con il passare delle settimane Claudio Ranieri ha cominciato a riaprire la porta che sembrava dovesse restare aperta solo per eventuali chiamate di qualche nazionale.
Così ha fatto capire che per la Roma o per il Cagliari, le sue squadre, avrebbe potuto rompere il patto con se stesso, la scelta fatta per l’età, la stanchezza, la famiglia. Nel giro di qualche settimana, manco a farlo apposta, la situazione a Trigoria è crollata da tutti i punti di vista e allora ecco che il casting giallorosso ha coinvolto anche il 73enne di Testaccio che proprio da lì ha iniziato la sua storia con il calcio. Direttore tecnico, magari. Ma anche allenatore. Forse prima uno e poi l’altro. No, invece. La soluzione è una, la solita per Sir Claudio: panchina, almeno per ora, fino a giugno.
Aveva vent’anni quando indossò – da tifoso – la maglia del cuore. Diventò professionista proprio con la Roma prima del lunghissimo viaggio che lo ha portato praticamente ovunque, in Italia e nel mondo. Fino al 2009, con oltre vent’anni di panchina sulle spalle, quando gli fu affidato lo stesso incarico di oggi ma con zero punti alla terza giornata. Galoppata fantastica e scudetto sfiorato mai digerito: per lui sarebbe stato un trionfo, una soddisfazione personale che avrebbe chiuso il cerchio di una carriera che già quindici anni aveva il sapore dello straordinarietà. Si divertì, Ranieri, oltre a sfiorare l’impresa. Tornò testaccino tra i romanisti, fu condottiero romanesco (“ve state a attaccà al fumo della pippa…” disse dopo un derby vinto in cui la parte laziale gli faceva notare che forse il risultato non era giusto). Tutto bellissimo fino alla Samp di Pazzini e Cassano, il ko all’Olimpico che costò il sorpasso dell’Inter in vetta (contro i nerazzurri perse anche la finale di Coppa Italia).
Nella stagione successiva se ne andò a febbraio, dopo che la Roma decise che lo 0-3 del primo tempo sul campo del Genoa può diventare un ko per 4-3. Squadra persa: addio. E da lì l’Inter, il Monaco, ct della Grecia, il capolavoro interplanetario del Leicester, Nantes e Fulham.
E poi? A marzo 2019, otto anni dopo, rieccolo a Trigoria, chiamato dall’entourage dell’ex presidente Pallotta dopo l’esonero di Eusebio Di Francesco. Tre mesi per accompagnare il finale di stagione, consapevole che si trattasse solo di una parentesi, un ulteriore passaggio di una storia infinita. Due i passaggi che ci tornano in mente in queste ore. Il primo di fine agosto 2009, quando arrivammo sul terrazzo della casa ai Parioli e lo vedemmo brindare con il suo staff per l’arrivo a Trigoria: sembrava un bambino, felice ed emozionato, era l’incarico della vita e ci chiese di mantenere il riserbo su quel momento privato. Lo rispettammo.
Il secondo passaggio è solo di sei mesi fa. Sul campo del Sassuolo ha vinto 2-0 e salvato il Cagliari: anche in quel caso, davanti ai tifosi rossoblù che cantavano solo per lui, gli occhi mostravano le stesse vibrazioni. Gli piace il lavoro che fa, gli piace allenare. Per questo, probabilmente, è tornato sui suoi passi. E per la Roma Ranieri lo ha fatto in maniera naturale. Tutto è partito proprio da qui.
FONTE: Il Corriere dello Sport – A. Ghiacci