Per capire se la Roma è tornata non può bastare la partita con il Lecce. E nel caso nemmeno quella di oggi: ma oggi la Roma deve capire che oltre a tranquillizzare ancora un po’ di più chi la ama, oltre a farsi riconoscere un po’ di più (devi essere testaccina Roma mia: sovversiva, sudore, sangue e saliva) deve ricordarsi di quello che significa, Lei e questa partita. Europa. Negli ultimi quattro anni, l’Europa per noi è stato il nostro posto delle fragole. Il luogo caro dell’infanzia, il posto preferito, lì dove siamo stati felici e infelici, ma siamo stati. Tirana e Budapest resteranno per sempre. (…)
Ma Tirana e Budapest resteranno per sempre un ricordo incancellabile, l’odore del viaggio, un vanto vissuto. E anche quell’autogol all’81’ a Leverkusen, anche la coppa europea di De Rossi giocata alla Mourinho è una cosa che la Roma si deve ricordare (e tutti quei “Feye no e la Roma sì”, che sono stati il ritmo sincopato, la piccola colonna sonora di questo periodo quasi da cartone animato). (…)
Adesso non c’è partita più importante di questa e non solo perché oggi puoi – devi – giocare questa partita e nessun’altra. (…) Oggi giochiamo col Braga, non col Real, siamo 21esimi e non è una finale, non ci saranno i maxiscreen all’Olimpico, ma ricordatevi magari di quello screen che magari avete conservato di vostro figlio quando stavate a Budapest con qualche promessa che un giorno vinceremo, cercando di consolare le sue lacrime (o di una Pipa a dirotto stretta sul petto) senza farle vedere le vostre.
Oggi noi oltre a giocarci la decenza e l’obbligo di continuare a restare in questa competizione che per noi è speciale, che per noi è un dovere, che per noi è un’emozione, ci giochiamo non solo quello che dobbiamo essere, ma quello che siamo stati. (…) E Roma mia, se ancora sei così insicura, se ti capita di aver paura, se non credi che ce la puoi fare, gira gli occhi a destra e guarda chi ti vuol bene che canta “e che con le mani amore per sempre” ti porterà con sé.
FONTE: Il Romanista – T. Cagnucci