Pallotta (cioè la Roma) e Spalletti, inutile far finta di niente, adesso sono più distanti. Del resto sono loro ad avercelo rivelato, nell’ultimo weekend. Senza che nessuno glielo abbia chiesto. Hanno fatto tutto da soli. Anche perché, nonostante i media siano sempre la faccia brutta e cattiva della medaglia, nessuno ha preteso anticipazioni sul futuro del club e del tecnico nel bel mezzo della fase cruciale della stagione, con 2 rimonte da tentare (in Europa League e in Coppa Italia) e il 2° posto da blindare (in campionato). Al netto delle rettifiche fuori tempo massimo e delle smentite future che arriveranno e anche ben impiattate, la divergenza di opinioni e di strategie tra il presidente e l’allenatore è agli atti negli audio radiofonici e televisivi. E, mai come stavolta, registrazione semper certa est.
PRESA DI POSIZIONE – Nel pieno del dibattito a distanza (è partito, all’inizio del weekend da oltreoceano, ed è sbarcato all’alba di sabato a Trigoria), la tifoseria su Internet, deludendo e amareggiando la società giallorossa, si è schierata nelle ultime ore contro James e quindi con Lucio. Sui social network, nel giorno in cui il club ha provato a festeggiare i 59 anni di Pallotta, i tweet sono stati feroci. E offensivi. Da «buon compleanno de che, mettece li sordi» a «sette anni, zero trofei». A incidere sul fixing le dichiarazioni del presidente che, nonostante sia lontano dagli occhi e dal cuore, si è intromesso nella gestione del gruppo proprio nel momento di maggiore difficoltà. «Il regalo più bello restano questi quattro anni straordinari» il commento di James
SEPARAZIONE CONSENSUALE – I dirigenti giallorossi danno la loro versione, anche abbastanza credibile: Pallotta stima Spalletti. Ma l’entrata del presidente è stata a gamba tesa. Tant’è vero che in, 2 atti (sabato e domenica), l’allenatore ha reagito. James, nel pieno della sua superficialità, ha raccontato di essersi confrontato «con Franco» (cioè il consulente Baldini, tanto per coinvolgere in pubblico anche chi opera sotto traccia), prima di Roma-Napoli, e insieme hanno concordato che la formazione scelta per lo scontro diretto non fosse quella giusta. Senza Salah che, poi messo nella ripresa, ha cambiato la storia del match, sempre secondo Pallotta (e «Franco»). Lucio lo ha subito sistemato ricordandogli i successi consecutivi conquistati senza l’egiziano: «Se il problema è Salah rimasto fuori per un tempo…». Il presidente ha pure annunciato quale sarà la virata nel prossimo mercato: largo ai giovani del vivaio. Il tecnico ne ha preso atto: «Ma bisogna dirlo alla gente. Soprattutto se si vuole vincere». A Palermo, però, è stato più rancoroso. «Quanto detto dal presidente non mi impressiona. Ma lo vorrei più presente». Ieri Pallotta gli ha teso la mano: «Ha ragione, ma sono rimasto a Boston a lavorare per lo stadio». Intanto, però, ha incassato la raffica di Spalletti al Barbera. Da «avevamo problemi a far mercato» all’elenco dei giocatori ceduti «Gervinho, Digne e Pjanic». Cesto pieno di frasi dolorose per la proprietà: «Un anno fa c’era una situazione di difficoltà, accettai molte situazioni già imbastite»; «avrei potuto salutare alla fine della scorsa stagione»; «non si è mai parlato di strategie» e «il secondo anno di contratto era stato fatto solo per dare la sensazione di continuità del progetto». Nel contesto si scolorisce il giallo Totti: al rancor non si comanda.
PROFILO DA INDIVIDUARE – «Resto solo se vinco» è il mantra di Spalletti. Che, in questo finale di stagione, non può bastare alla proprietà Usa. Adesso la priorità è non rimanere con il cerino acceso in mano. Va individuato l’eventuale sostituto di Lucio. Magari cercando di capire chi lo sceglierà: Pallotta ne ha già parlato con Baldini e Monchi. E anche con Gandini e Baldissoni. Per non farsi trovare impreparati. Ma per l’identikit, è necessario conoscere quali saranno gli investimenti per rinforzare la rosa e quanti i giovani da portare in prima squadra. E presentare il menù ai vari candidati: da Mancini, non sotto contratto) a Montella, da Di Francesco a Gasperini. E, guardando anche all’estero, da Emery a Conte. E, perché no, Luis Enrique.