Facciamocene una ragione. In tempi in cui Donald Trump diventa l’uomo più potente della terra e Gianluca Vacchi un «maître à penser», è segno che nel nostro mondo i social – sapientemente utilizzati — hanno un peso così grande da non poter essere ignorati. Se poi consideriamo l’universo giallorosso, il termometro lo danno anche le onnipresenti radio romane che – mescolate al web – ieri hanno dato una sentenza chiara. Proprio nel giorno del suo 59° compleanno, le prime ruggini emerse fra James Pallotta e Luciano Spalletti hanno visto quasi tutti i tifosi schierati a fianco dell’allenatore, inondando gli auguri societari al presidente con commenti tipo: «Caccia i soldi, con te non abbiamo vinto niente». Il messaggio in sintesi sarebbe: se Spalletti va via, è perché tu non vuoi investire.
MONCHI ATTENDE – Insomma, le polemiche degli ultimi giorni hanno innescato la miccia. D’altronde la storia è nota. Parlando ad un radio statunitense, il numero uno giallorosso fra l’altro aveva detto: «A Lione la squadra aveva finito la benzina. Credo che alcuni giocatori siano stanchi per i troppi minuti giocati». Mentre per il match col Napoli aveva aggiunto: «Prima della partita non avevo buone sensazioni per la formazione. Abbiamo inserito Salah a 35 minuti dalla fine. Ha aperto la partita, magari poteva essere messo prima o dall’inizio». Appunti tecnici, questi ultimi condivisi con «Franco», e tutti a Roma hanno pensato all’ex d.g. e ora consulente Baldini. Discorsi che hanno riportato alla memoria la Roma «con quattro centri di pensiero», citazione dall’ex d.s. Sabatini, a volte un po’ sballottata fra Trigoria, Boston, Londra (dove vive Baldini) e ora anche la Spagna, da cui in estate dovrebbe arrivare il nuovo d.s. Monchi. Con queste premesse, Spalletti potrebbe essere anche bravo a fare il presidente – come scherzosamente diceva riferendosi al Palermo – ma di sicuro ingerenze tecniche nel suo lavoro non le ama e così nel dopo partita prima ha chiarito un paio di concetti. «Sono io il responsabile di come va la squadra. Non deve attaccare i giocatori, se tocca me va bene. Non mi lascio molto impressionare dalle parole di un presidente». Poi allargando il discorso ha aggiunto: «Io sono entrato in un momento in cui avevano un po’ di difficoltà e non sono stato a chiedere niente. Anche a fine anno ho accettato molte situazioni che erano già imbastite in precedenza, anche perché mi andavano bene. Si sono fatte cose in funzione di quello che poi ci hanno portato via. Digne ce l’hanno portato via, poi Pjanic, ma soprattutto Gervinho, il giocatore più forte negli ultimi due anni. Abbiamo rimesso delle pedine, ma non si sono fatte strategie future. Noi avevamo delle difficoltà a fare mercato. Ci sono delle cose che si dicono e delle cose che non si dicono». E la conclusione è stata: «Il presidente vive fuori, ma a volte la figura del presidente è insostituibile e ci farebbe piacere partecipasse di più».
ECCO PALLOTTA – Logico che questo dialogo a distanza non faciliti per il momento il rinnovo di contratto di Spalletti («Ho fatto un favore a non rifirmare. Secondo me anche la dirigenza ha gradito. All’allenatore precedente hanno pagato anche gli anni di contratto»). Una cosa però è certa: Pallotta ha grande stima per l’allenatore e per questo a suo modo tende la mano. «Ha ragione Luciano. Mi piacerebbe essere a Roma di più, ma il lavoro fatto sul nuovo stadio nell’ultimo anno è stato incredibilmente importante e io avevo bisogno di farlo. Un 2-0 sul Lione come regalo di compleanno? Non mi servono doni. I giocatori e la squadra mi hanno già regalato quattro anni fantastici».
CONTRATTI E STADIO – Chi però pensasse che questo sia il prodromo di un accordo sbaglierebbe. La Roma infatti ieri ha fatto sapere che Pallotta – in arrivo giovedì e pronto a restare una settimana – non tratterà di rinnovi (oltre a quello dell’allenatore, ballano anche quelli di Totti, De Rossi e Strootman e gli adeguamenti di Manolas e Nainggolan), ma si occuperà di incontri istituzionali relativi al nuovo stadio. Già venerdì, ad esempio, è in agenda un summit con la sindaca Raggi. Tutti, comunque, sperano che un chiarimento con Spalletti ci sia perché il rischio è che le tensioni crescano.
EREDI – Impressioni? Pallotta terrebbe volentieri Spalletti, di cui apprezza l’ottimo lavoro, ma sa che è un allenatore ambizioso e caratterialmente «impegnativo» per i dirigenti. Come infatti lo stesso allenatore ha fatto presente al presidente che sabato parlava di «lanciare i giovani», è una cosa che si può senz’altro fare, ma «l’ossessione per la vittoria» di cui parla il tecnico, meglio archiviarla. Morale: se quest’ultimo deciderà di andare via, il casting parla di big come Mancini o Emery, oppure «rivelazioni» come Gasperini o Di Francesco. Una cosa è certa: per i tifosi l’addio di Spalletti darebbe la sensazione di un ridimensionamento. Toccherà a Pallotta convincerli del contrario.