Lo scorso 3 marzo si è riunita la Conferenza dei Servizi di «Roma Capitale – Stadio della Roma in località Tor di Valle». Qui il rappresentante unico delle amministrazioni statali – il consigliere della Presidenza del Consiglio dei Ministri Carlo Notarmuzi – ha espresso parere favorevole al progetto, indicando alcune prescrizioni. Dunque – direte voi – finalmente una parola chiara: se lo Stato approva il progetto del Comune, che poi è quello della Roma, allora lo Stadio si farà – bene o male che ciò sia. Manco per niente. Il primo mistero (gaudioso?) riguarda l’identità del progetto. Quello ‘nuovo’, con le cubature tagliate, non esiste ancora. E dunque, a cosa ha dato parere favorevole l’inclito consigliere governativo? Poi c’è un secondo mistero (decisamente doloroso). Comunque lo si voglia giudicare, il vincolo messo dalla Soprintendenza sull’Ippodromo è già attivo. Gli articoli 15 e 16 del Codice dei Beni culturali parlano chiaro: basta l’avviamento del vincolo a far scattare la clausola di salvaguardia. E infatti la Via (valutazione di impatto ambientale) si sta chiudendo negativamente, coerentemente con ciò che prescrive lo stesso Codice. Un’attenta lettura del parere di Notarmuzi non diminuisce, ma anzi aumenta lo stupore. Tra i vari «visto» che precedono il pronunciamento favorevole si annovera infatti anche il «motivato dissenso» del ministero per i Beni culturali «alla realizzazione dell’intervento, non ravvisando condizioni per la sua ammissibilità nel sito proposto». E, alla fine, si nota che «fatta salva la posizione espressa dal ministero dei Beni Culturali, tutte le amministrazioni dello Stato si sono espresse favorevolmente con prescrizioni alla realizzazione del progetto».
C’è, dunque, del metodo in questa follia: e il metodo è quello dello Sblocca Italia e della Riforma Madia, due leggi del governo Renzi che avevano, tra gli altri, il fine di mettere il silenziatore alle soprintendenze, in attesa di poterle abolire. L’idea è molto semplice: far confluire tutti i pareri in mano ad un solo rappresentante dello Stato, che guarda caso doveva essere emanato dal potere esecutivo (presidenza del Consiglio o prefetture). Così la decisione veniva ‘semplificata’ e le amministrazioni ‘dissenzienti’ ridotte al silenzio. Un’idea politica, che mette fuori dalla porta ogni problema giuridico o tecnico in nome del fare. Dimenticandosi che le amministrazioni tecniche (come le soprintendenze) non dicono di no per fare dispetto, ma perché esistono problemi oggettivi. E dimenticando anche che i loro provvedimenti hanno, in alcuni casi, forza di legge: come impone l’articolo 9 della Costituzione. I vincoli, per esempio, si chiamano così perché vincolano le decisioni altrui: e sarà un giudice, prima o poi, a cassare il parere di Notarmurzi che li tratta come superabili dissensi. Resta un punto politico, anzi morale. Quando il governo Renzi mostrò di voler far tabula rasa della tutela pubblica del territorio con quelle leggi, il Movimento 5 Stelle era in piazza a protestare con i movimenti e le associazioni ambientaliste, con gli storici dell’arte e gli urbanisti. Ora, ad approfittare di quelle pessime riforme è una Grande Opera dell’amministrazione di punta del Movimento 5 Stelle: con tanti saluti alla coerenza, alle regole e alla Costituzione.