Nella ricetta per l’impresa (im)possibile contro il Lione, la Roma comincia con dosi massicce di ottimismo. Ribaltare il 4-2 subìto sette giorni fa in Francia? Si può fare, anzi si farà: «Passiamo noi al 60 per cento» annuncia Spalletti, che alla parola “remuntada”, inflazionatissima dopo l’impresa del Barça sul Psg, preferisce le percentuali. Quelle europee a dire il vero non sono granché confortanti: nelle coppe rovesciare due gol di svantaggio riesce appena nel 16% dei casi, altro che il sessanta di Spalletti. E soltanto 4 volte nella giovanissima Europa League un club si è qualificato dopo aver perso l’andata con 2 o più gol di scarto: Fulham e Valencia nei minuti regolamentari, Steaua e Siviglia (nel derby col Betis) ai rigori. Ma che la strada fosse in salita la Roma lo sapeva bene già al fischio finale del Parc OL. Ora sa di non avere nemmeno santi in paradiso: la Cei ha già espresso dispiacere per il fatto che, in caso di qualificazione ai quarti, Nainggolan e soci dovrebbero posticipare la gara con l’Atalanta per la 32esima giornata alla domenica di Pasqua. «Rispetto per la Chiesa ma non possiamo negare un diritto alla Roma», la lapide di Beretta sull’argomento. Aiuto tiepido pure dal pubblico: le “centomila voci” dell’inno di Venditti resteranno un’utopia, il richiamo all’impresa non ha smosso più di 30-32mila volenterosi.
Per gli altri resta più importante la protesta della curva rispetto alla qualificazione. O al futuro di Spalletti. Se il proposito di vincere come unica via per restare fosse valido, infatti, stasera la Roma si giocherebbe non solo i quarti d’Europa League. Ma pure le possibilità di ricominciare la prossima stagione con il proprio allenatore. Il suo destino però, più che da un trofeo – in ballo ci sarebbe pure la Coppa Italia, anche se il 4 aprile nel derby di ritorno servirà un’altra rimonta di 2 reti – sembra dipendere dai programmi futuri. Quelli del presidente Pallotta, in arrivo a Roma questo pomeriggio, a Ciampino, su un volo privato da Londra. A lui preme di certo più l’appuntamento di domani con la sindaca Raggi che non il match che seguirà stasera all’Olimpico. «Pallotta? Io non ho da dire nulla, ho solo da ascoltare», dice l’allenatore, «ma non mi pare ci siano i presupposti perché venga fuori un casino». Mettiamola così: Spalletti – lo dice lui stesso – deve «portare i risultati», e certo centrare il passaggio del turno in questo senso varrebbe una moneta importante da spendere sul tavolo della fiducia. Di contro a lui dovranno mostrare progetti limpidi, per convincerlo a non cedere alle lusinghe juventine, interiste o di chissà chi altro. Insomma, se solo qualche ora fa l’addio pareva inevitabile, oggi siamo già ai primi, timidi, segnali di apertura a restare. Non ci sarà il 60% delle possibilità, ma a marzo va bene lo stesso.