Arrivederci, Roma. L’Europa se ne va ancora una volta nella notte dell’Olimpico, che accarezza l’impresa restandone scottato. Ma riscoprendo la capacità di emozionarsi dopo anni di freddo distacco. La Juventus resta sola, Spalletti che per restare nella capitale vuole vincere perde la prima occasione per riuscirci: l’ottimismo profuso prima della partita non è bastato a convincere la sorte, più che la squadra. Il copione perfido tiene vivo il fuoco dell’illusione lasciando che si consumi solo al fischio finale: bastava un gol per regalarsi un finale diverso e invece Dzeko e El Shaarawy ci vanno vicini, sì, ma niente di più. La rimonta rimane un’utopia, Roma-Dundee che valse la finale di Coppa Campioni e Roma-Partizan del 1989, istantanee d’imprese sbiadite, restano i ricordi più freschi di una remuntada romanista. La testa bassa di Spalletti al fischio finale di Kassai, con il tabellone che impietoso riflette il 2-1 del campo, ingrassa invece la collezione di speranze deluse, come la finale Uefa con l’Inter del 1991 o i quarti con lo Slavia del 1996, occasioni perse in casa. Come in quelle notti di romane delusioni, c’è l’Olimpico, che per una volta non somiglia a un acquario disabitato, ma fonde di speranza, rumorosissimo, animato da oltre 40mila persone, come non se ne vedevano da un anno. E dall’idea di riuscire dove solo altre quattro squadre prima (Steaua Bucarest, Siviglia, Fulham e Valencia): ribaltare un ko con due gol di scarto in Europa League.
Mentre sale la febbre in campo Pallotta, arrivato in città da Londra poche ore prima, misura la sua lontano dall’Olimpico, al caldo della stanza d’hotel: chissà se c’è Sky a trasmettergli la sfida, chissà se avrà trovato un’aspirina stamane per rispondere all’invito della sindaca Raggi. Una buona sceneggiatura vive di emozioni contrastanti, e allora in un minuto il primo tempo chiude le speranze romaniste con il solito gol del difensore Diakhaby, per poi riaccenderle 100 secondi più tardi col pari di Strootman. Quando con il secondo tempo pure la gente in tribuna sembra cedere a un minimo di rassegnazione, il dottor Spalletti capisce che serve defibrillare. I Volt per rianimare almeno la speranza di farcela li chiede a El Shaarawy, uno che quando entra – lo dicono i numeri, mai un gol nelle undici da subentrato – fatica a incidere. E che invece pare salire sulla macchina del tempo e tornare a quando da rossonero stravolgeva le partite. E in un amen la Roma passa dalla rassegnazione al trovarsi a venti centimetri dai quarti. Soprattutto, dà un senso a tutto il tempo che manca: lei e Cornet che decide di regalare all’unica curva vuota il match point francese. Entra pure Totti, perché le leggende per vivere hanno bisogno di eroi. Ma la storia ha in mente un altro finale: Pasqua è salva, senza i quarti la Roma giocherà il sabato santo. Ma le vittorie da inseguire non finiscono. Tra diciotto giorni sarà derby: un’altra coppa, un’altra rimonta da non interrompere.