Enzo Bertagnoli aveva 15 anni. Lo scorso 27 luglio si è dovuto arrendere a un tumore cerebrale. Suo padre Julio Sergio, ex portiere della Roma non pronuncia mai la parola morte. Dice che Enzo «è partito». Ed è così che ci piace immaginarlo: in un viaggio lontano, senza meta, eternamente ragazzo. D’altronde gli eroi sono così: tutti giovani e tutti belli.
Anche Enzo lo è stato… «Abbiamo semplicemente raccontato quello che stavamo vivendo. Se la sua storia, la sua forza, è stata utile anche a una sola persona va bene così».
Il primo Natale senza di lui… «Andrò al lago, cercherò di gestire tutto questo».
Come si fa? «Non lo so. Tutto nuovo, tutto strano, restiamo tranquilli e aspettiamo. Mi consola sapere che ho fatto tutto quello che potevo, che Enzo è partito dopo la nostra ultima chiacchierata. Ho un audio con me di quel giorno, mi basta. La mancanza invece… Ecco, quella non è facile da gestire».
Lei lo ricorda sempre, adesso anche con una linea di magliette… «Sì, un amico di Enzo, Murilo, ha creato queste t shirt solidali. Con dei disegni scelti anche da mio figlio. Non c’è lucro, tutti i guadagni andranno a due associazioni che lavorano con i bambini malati di cancro».
Parliamo un po’ di calcio: sa che partita c’è a Roma lunedì? «Seguo abbastanza la Serie A, Daniele torna a Roma».
Che compagno era Daniele De Rossi? «Un ragazzo eccezionale. Dopo il derby vinto con Ranieri, quello in cui parai il rigore di Floccari, venne a dirmi una cosa tanto semplice quanto forte: per i bravi ragazzi, quelli che fanno le cose per bene, prima o poi arrivano le soddisfazioni. Mi piace pensare che sia ancora così».
Vi sentite? «Ogni tanto. Parliamo anche di lavoro, dei giocatori che ci sono in Brasile. Come tutti gli italiani è interessato, anche se parla pochissimo perché il suo ruolo è quello di allenatore». (…)
Anche la Roma lotta per il titolo? «Per la Champions sicuro, per lo scudetto vedo Inter, Napoli o Milan».
Roma e la Roma: la voce trema un po’… «Enzo e mia figlia sono nati a Roma, lui di fronte Castel Sant’Angelo. Ho vissuto momenti indimenticabili e ancora adesso il club è stato fantastico con me. La maglia spedita, la vicinanza… Mio figlio quando ha visto la maglietta che mi era stata inviata era molto felice, sono cose importanti queste».
Il giocatore preferito di Enzo? «Cristiano Ronaldo. Lui vedeva tutto, sapeva più cose di me».
Della Roma le chiedeva? «Sapeva che avevo giocato con Totti, De Rossi, Toni… Quando venivano a casa gli amici si vantava, faceva vedere i video: era orgoglioso. Poi gli piaceva Alisson, ci scambiavamo qualche messaggio ed Enzo era felice».
A proposito di portieri: un giudizio su Svilar? «Tra i primi d’Europa. Ha ancora un margine di crescita importante, può diventare il primo».
Chi è Julio Sergio oggi? «Un uomo, un padre, che prova a resistere. Quando sei in mezzo alla tempesta, tutti i giorni ti svegli con l’ansia, con l’angoscia delle mille cose da fare. Sei in un tempo in cui non esiste la tranquillità o la testa libera. Qui in Brasile non abbiamo un’assistenza per la medicina come in Italia, le cose costano tanto e noi cercavamo di fare tutto il meglio per Enzo. In quel processo non hai tempo per accogliere altre cose, per fermarti a pensare e neppure per piangere. Dopo che Enzo è partito ho pensato di dover essere forte per trasformare questa energia e magari poter aiutare chi è nella stessa situazione. Posso dire un’ultima cosa?».
Prego… «Tifosi della Roma: grazie. Il mio Instagram è fatto soprattutto dal popolo di Roma (testuale, ndr) e io il vostro affetto l’ho sentito tutto. Sempre. E lo ha sentito anche Enzo che ha potuto, almeno un po’, capire come siete fatti. Grazie».
Che cosa chiede al 2026? «Io ho smesso di giocare a calcio nel 2014, ho studiato, fatto l’allenatore, poi ho iniziato a lavorare con i calciatori e infine c’è stata tutta la storia di Enzo. Sono 12 anni di pensieri. Adesso cosa posso dire? Mi sveglio, sto vicino a mia figlia, lavoro. Penso a questo e non ad altre cose che potrebbero togliermi energia. Non mi arrabbio più, non perdo tempo in cose stupide. Quindi: io voglio essere tranquillo, lavorare e tentare di vivere bene. E poi un’altra cosa, importante: non ho l’obbligo di essere chi non voglio. Ecco, questo: nel 2026 voglio essere me stesso». (…)
FONTE: Il Corriere dello Sport – J. Aliprandi / C. Zucchelli











