Oggi chi vuole costruire il nuovo stadio a Tor di Valle sa di essere appeso alla benevolenza altrui e sa pure che non si tratta di un appiglio molto solido. Non di questi tempi. Il Comune deve scrivere una memoria di giunta che faccia da base per le modifiche alla delibera di pubblico interesse, da votare in seguito e con un minimo di comodo. Ma quell’atto ufficiale, per quanto sia un embrione e nulla di più, ci vuole. Fino a ieri la Regione Lazio non aveva ricevuto alcunché. Ed è anche comprensibile, perché per stilare un documento del genere ci vuole tempo. La conferenza dei servizi che deve prendere la decisione conclusiva sullo stadio si chiuderà mercoledì 5 aprile. Visto che nulla di concreto c’è ancora sul tavolo, non è dato neppure sapere se in quella data si svolgerà una riunione vera e propria o semplicemente la Regione prenderà atto dell’impossibilità di andare avanti. I documenti supplementari dovrebbero arrivare entro fine marzo. In realtà il Campidoglio non sarà pronto prima della fine di questa settimana e probabilmente consegnerà il compito a casa lunedì o martedì. A quel punto, se tutti si volessero bene la cosa potrebbe essere aggiustata e l’iter andare avanti. Ma com’è noto il Pd che guida la Regione non ha alcun motivo di voler bene al Movimento 5 Stelle che regge il Comune. E viceversa.
La Roma in questa fase non può che guardare ed eventualmente tifare. Senza farsi venire la pressione troppo alta. In verità lì appaiono abbastanza rassegnati all’eventualità che questa conferenza dei servizi si chiuda malamente per i loro colori. O comunque appaiono pronti ad affrontare la situazione. Anche se per qualche mostro e miracolo la Regione tra una settimana desse il via libera alla costruzione dell’impianto, considerando sufficienti le opere pubbliche conservate nella nuova versione del progetto, lo spazio per i ricorsi di chiunque abbia le mani che prudono sarebbe ampio. Quindi alla Roma cominciano a pensare – sarebbe stato meglio pensarci prima – che una nuova conferenza dei servizi costruita su una vera delibera comunale già approvata e su una vera unità d’intenti tra tutti gli organismi coinvolti potrebbe non costituire una sostanziale perdita di tempo. Nello scenario peggiore, argomentano, apriremmo i cantieri tra gennaio e febbraio del 2018. Con poche settimane di ritardo rispetto a quanto già previsto. Restano ottimisti perché altro non c’è da fare.