C’è un nome che lega gli affari più importanti del Campidoglio M5S di Virginia Raggi. L’avvocato Luca Lanzalone è stato l’uomo chiave della sindaca perché ha sciolto il nodo, almeno dal punto di vista politico, sullo stadio della Roma. E adesso potrebbe diventare protagonista dello spoils system Cinque Stelle visto che ha dato la sua disponibilità a ricoprire l’incarico di presidente di Acea, la gallina dalle uova d’oro del Comune che, da lunedì, comincia l’iter per cambiare i vertici. Lanzalone è infatti sulla lista di nove nomi elaborata dal M5S che sarà presentata nel cda della multiutility del Campidoglio, l’unica che può vantare conti in attivo e che, nonostante questo, ha appena giubilato la presidente Catia Tomasetti e l’ad Alberto Irace. Per il genovese Lanzalone la strada per il vertice dell’azienda sembra spianata. Massimo Colomban, assessore alle Partecipate, mercoledì ha avvertito l’ad uscente, Alberto Irace, che il suo successore sarà Stefano Donnarumma, già ex direttore della multiutility lombarda A2A. E, considerato il problema quote rosa che i Cinque Stelle hanno dovuto aggirare per la composizione del nuovo Cda, si può provare a ricostruire il nuovo organigramma studiato dalla giunta Raggi per l’azienda: tre donne nel Consiglio e i due uomini di fiducia del M5S al comando: Lanzalone e Donnarumma.
C’è da dire che, però, il lavoro dell’avvocato spedito a Roma dalla Casaleggio per risolvere la grana stadio non è ancora concluso. Ieri, per esempio, si è verificato l’ennesimo intoppo. Perché giovedì mentre Raggi e gli assessori si stringevano la mano a suggello della memoria che impegna la giunta ad andare avanti con una delibera di pubblico interesse sul progetto «dimezzato» di Tor di Valle, gli Uffici del Campidoglio protocollavano il parere che avrebbe fatto saltare il banco. «Si dichiara che non si possono ritenere completamente soddisfatte le condizioni per superare il dissenso di cui al Parere Unico», le ultime tre righe del documento firmato dal rappresentate unico di Roma Capitale, Fabio Pacciani, con riferimento al «no» del Comune espresso il primo febbraio. Ergo, mentre la politica diceva sì snocciolando i nuovi connotati di un progetto appena ripulito dal cemento (anche pubblico) in eccesso secondo il dogma grillino, i tecnici confermavano il loro no argomentando con rilievi «solo in parte recepiti e soddisfatti» dalla Roma. E questo significa essenzialmente due cose. La prima è la conferma di un’amministrazione che, sulla questione stadio e non solo, continua ad andare a due velocità: la giunta perfeziona accordi politici con i proponenti, la Roma e Luca Parnasi, senza prima consultare i tecnici che, apponendo le firme sui documenti, non possono concedersi delle spericolatezze.
A marzo è successo due volte che giunta e tecnici si trovassero in (folle) conflitto burocratico: anche i primi del mese, quando la Regione bloccò la richiesta di proroga, la politica è stata smentita nel merito dai tecnici comunali, tanto che Raggi fu costretta a spiegare la gaffe. Il secondo elemento che emerge riguarda direttamente l’iter del progetto che il 5 aprile dovrà passare all’esame della Conferenza dei servizi decisoria. E che dopo la raffica di «faremo» si presenterà al tavolo senza opere pubbliche strategiche, e in una condizione prossima all’imbarazzo: manca una variante urbanistica, non ci sono i «sì» di Campidoglio e Città metropolitana, e persistono le grane dei vincoli Mibact e dell’analisi di impatto ambientale della Regione; e soprattutto adesso c’è una memoria di giunta costruita strapazzando la delibera Marino, che non trova sponda nel parere degli Uffici tecnici. L’esito negativo dell’attuale Conferenza dei servizi è ormai ad un passo. Come pure il riavvio dell’iter su un nuovo tavolo. Al quale, però sia il Campidoglio M5S, che ha una base ancora da convincere, sia la Roma, che di sicuro non potrà più contare sull’appoggio del Pd dopo l’idillio pentastellato di fine febbraio, potranno trovare nuove grane.