Una rosa fortissima con il numero di giocatori ideale però qualcosa viene a mancare se ci sono molte partite insieme e la squadra è forte dentro anche se non sa uscire dalle situazioni complicate. Dzeko aggraziato e bello a vedersi se non quando gli arrivano molti palloni e non riesce a controllarli. Soprattutto, la vittoria che divide la ragione dal torto, il risultato come misura delle cose e insieme ciò che non conta, che viene dimenticato presto perché vincere significa anche fare un buon lavoro, trasmettere segnali di vita intelligente, sentire che gli altri ti stimano e godere di quella fiducia. Luciano Spalletti è uno che non smette mai di pensare, che stia sul campo da gioco, seduto davanti alla corte marziale (la sua è composta da giornalisti, praticamente innocua) o in contemplazione davanti a una chiesa del Rinascimento. Ha pensieri complessi, lo attraversa un monologo interiore che talvolta a renderlo a suoni si accartoccia su se stesso.
Quindi sembra dire una cosa e poi una diversa, quindi a esplorare la sua visione del mondo ci si imbatte in alcune contraddizioni. Del resto è il mondo stesso a essere contraddittorio, ammalato di principio d’indeterminazione e non del tutto comprensibile. I giocatori sono anime semplici, a tratti lo sono anche gli appassionati di calcio. Altrettanto spesso lo sono i giornalisti. Finisce che Spalletti si comprende da solo ed è già parecchio. Per esempio, a sentirlo sembrano tutti convinti che se ne andrà dalla Roma. Anche noi. Lui però non lo ha mai detto. O forse sì, da qualche parte in quella giungla di parole, là dove si vince anche se si perde.