La sensazione forte è una: ne avevamo bisogno. Nel calcio dei manichini appesi sotto i ponti e degli odiatori seriali, del razzismo ringhioso e dei dirigenti senza scrupoli, avevamo bisogno di ricordare che il calcio è anche emozione e, forse, di ritrovare persino quel pizzico d’innocenza che una «standing ovation» al rivale era pronta a regalare. Invece i 6 minuti mancati di Francesco Totti contro il Milan, in un San Siro pronto ad alzarsi in piedi per lui, si specchiano alla rovescia in quelli di Gianni Rivera nell’immortale Italia-Brasile del 1970. Pochissimi, ovvio, ma utili a segnalare la sensibilità del c.t. Ferruccio Valcareggi, che forse sbagliò le scelte scatenando polemiche infinite, ma volle concedere alla bandiera del Milan l’onore agrodolce di entrare in una finale Mondiale, sia pur perduta.
IL GELO – Luciano Spalletti invece ha fatto una scelta diversa, temendo che un Milan ormai in disarmo rimontasse da 1-3 in 360 secondi. Rispettabili opinioni calcistiche, che hanno diviso l’universo giallorosso, ma hanno fatto trovare tanti consensi «extra» al capitano della Roma, soprattutto perché le parole del tecnico nel dopo partita parevano dettate da un apparente rancore che ha imbarazzato molti in società. Insomma, un harakiri mediatico, visto che la partita è finita totalmente in secondo piano davanti all’ennesimo «caso Totti». Nessuna sorpresa, perciò, che l’allenatore sia sbottato: «Se tornassi indietro non verrei mai ad allenare la Roma. È la prima cosa che ho detto al presidente e al d.g.». Nel pellegrinaggio delle dichiarazioni il numero dieci giallorosso è stato liquidato sia dal punto di vista tecnico («l’ho fatto giocare in casa col Villarreal, dopo aver vinto fuori casa, e non s’è visto pallino per tutta la partita»), che professionale («a Palermo non entra perché aveva mal di schiena, telefona a Chivu, telefona a Bergomi»). Morale: ieri tra i due a Trigoria non c’è stato alcun chiarimento ed il gelo è rimasto palpabile, col capitano triste e arrabbiato, nonostante la piena solidarietà dei compagni, quasi tutti dalla sua parte.
PALLOTTA SCEGLIE – Eppure Spalletti nei suoi discorsi è stato sincero. «Un anno fa avevo detto: “Io ritorno però va fatta chiarezza con lui”, ma non sono stato convincente». Lo è stato però sul caso specifico, visto che il presidente Pallotta si è schierato. «È stato bello vedere tutti applaudire Totti, ma la squadra viene sempre prima di tutto – dice al Messaggero –. L’allenatore ha fatto il cambio giusto, perché stiamo combattendo per l’accesso alla Champions. E se avesse messo Totti gli ultimi 5-6 minuti qualcuno avrebbe detto che non sarebbe stato rispettoso. Non potrei biasimarlo se dovesse lasciare la Roma, perché i media scrivono sciocchezze. Aspettate la fine della stagione perché avrò molto da dire su tutta la storia».
EREDI IN PANCHINA – Ecco, quel passaggio sul «lasciare la Roma» può essere significativo. Il club sa bene come ormai Spalletti e il «dirigente» Totti non potrebbero mai collaborare. Così, se il tecnico mantenesse fede alle sue parole e andasse via – l’Inter sembra l’approdo – non farebbero una piega, prendendo in considerazione le già sondate candidature di Emery, Montella e Di Francesco. Di autogol mediatici infatti il club ne ha abbastanza, tant’è che presto ci sarà un nuovo confronto con Totti (che ha riparlato giorni fa con Monchi) per scegliergli insieme un ruolo. La parola d’ordine infatti è: leggerezza. Perché se l’addio di Kobe Bryant al basket diventa uno spot per il movimento e un ritorno economico, quello di Totti deve essere una «via crucis» comunicazionale?
RISCHIO NAINGGOLAN – Tutto però in questo momento viene accantonato per la caccia alla Champions, visto che domenica arriverà la Juve e Nainggolan è pure a rischio. Totti invece ci sarà, magari pensando ai «no» alle nuove offerte che pure giungono da Cina e Arabia. Attestati di stima, che però non cancellano la malinconia.