«La penna del mio rinnovo ce l’hanno in mano i calciatori», disse Luciano Spalletti lo scorso 25 ottobre, vigilia di Sassuolo-Roma (1-3). Aggiungendo che «vincere non vuol dire solo portare a casa un titolo, ma anche mandare un messaggio chiaro ai nostri tifosi, alla nostra città, alla Capitale d’Italia». Cioè, esattamente quanto è accaduto domenica sera all’Olimpico. Con una squadra che, di fatto, ha messo quella penna in mano al proprio allenatore. E che ha mandato un messaggio nitido ai propri tifosi. Per quale motivo, allora, Spalletti non ha ancora autografato un nuovo contratto con la Roma, come continuano a chiedergli gli uomini di Jim Pallotta nonostante quel «Se tornassi indietro, non tornerei» da immediato esonero morale? Il “Resto se vinco”, ormai è chiaro, non era la pregiudiziale; occorre, quindi, interrogarsi su altre faccende.
1) Ha dietro un club che gli garantisce il doppio, il triplo di quanto gli offre la Roma? 2) Ha capito che il suo (doppio) ciclo alla Roma è definitivamente terminato? 3) Vuole prendersi un anno sabbatico? 4) Non vuole più confrontarsi quotidianamente con il nemico Totti? Fosse vero questo, ad esempio, Lucio è il primo a sapere che il Capitano sarà calciatore della Roma per altri 15 giorni e basta; e sa pure che, se restasse, il poliedrico Monchi s’inventerebbe qualcosa pur di non farlo convivere a Trigoria con il neo dirigente Totti. C’è, dunque, un problema di ruoli, di compiti, di autonomia, di programmi, di staff o, perché no?, di strategia sul mercato alla base della voglia di Spalletti di non restare alla Roma? Ci deve essere, per forza, un motivo forte, un ostacolo insormontabile; non può esserci una motivazione futile o di facciata per il “no, grazie”. E non bastano neppure i fischi di parte della tifoseria per prendere e andare via, se si vuole davvero restare. Fuori la verità. La penna è lì, sul tavolo della verità.