Non c’è stato il lieto fine, perché ieri la Roma ha perso Totti senza alzare alcun trofeo. I 70 mila dell’Olimpico, un pienone che non si vedeva dai tempi di Roma-Parma dello scudetto 2001, erano lì solo per veder andar via, per sempre, il campione più campione dei 90 anni di storia giallorossa. “Francesco is out”, si sarebbe potuto dire se fosse stato possibile allestire un addio-show lungo un anno alla Kobe Bryant. Ma il calcio non è basket. Non è soprattutto Nba. Fossero stati simili il presidente Pallotta si sarebbe trovato più a suo agio. Totti non vestirà più la maglia giallorossa e i tifosi non potranno più ammirare le giocate e i gol del loro trofeo più scintillante. Un trofeo vivente che, forse, non troverà posto nemmeno nella bacheca giallorossa, ovvero come dirigente. Vedremo. Totti è uscito per l’ultima volta dal giardino alle pendici di Monte Mario con un Olimpico colmo di amarezza e risentimento per l’ennesima stagione senza raccolto; di rabbia e delusione nei confronti di chi ha gestito, male, il canto del cigno dell’ex ragazzo di Porta Metronia: Spalletti? Società? Entrambi? O anche lo stesso Francesco? Ognuno ha la sua risposta. Francesco lascia maglia e fascia da capitano con un pieno di record personali: 250 gol in campionato, tutti con un’unica maglia come nessuno mai; 24 anni di carriera da quel 19 marzo 1993 che ne segnò l’esordio in A grazie all’intuito di Carletto Mazzone; lo scudetto del 2001; 2 coppe Italia e 2 Supercoppe italiane. Pochi i trofei di squadra. Perché ciò che non è riuscito a Totti è stato cambiare la storia di questo club, che quest’anno vede salire a 9 stagioni le stagioni consecutive a bocca asciutta.
Francesco avrebbe potuto esibire un palmarés all’altezza del suo talento se avesse accettato di vestire le maglie del Real Madrid o del Milan, arrivati a un passo dal suo “sì”. Ma Totti ha comunque toccato il cielo con un dito, salendo sull’Olimpo dei Campioni del Mondo a Berlino nel 2006. Un Mondiale che, a dispetto della retorica, ne ha disegnato ancor di più la grandezza. La Coppa del mondo arrivò 5 mesi dopo la rottura del perone della gamba sinistra in quel Roma-Empoli del 19 febbraio, coronando una rincorsa clamorosa. Un gol soltanto segnò Totti in Germania, il rigore decisivo negli ottavi di finale contro l’Australia. Il suo Mondiale fu speciale perché, comunque menomato dal recupero lampo, Francesco si “inventò” regista accanto a Pirlo. Tocchi di prima con la sua straordinaria visione di gioco e 4 assist. Sei anni prima la Francia gli aveva tolto da sotto il naso un titolo europeo giocato da assoluto protagonista e griffato dal cucchiaio su rigore a Van der Saar, divenuto il suo marchio d’autore. E poi la Scarpa d’oro del 2007, la stagione dei «sei rigori sbagliati di fila» come ha voluto incredibilmente ricordare Spalletti sabato (ma in realtà furono 7 e non consecutivi). Totti ha scelto di non lasciare la sua città e la maglia dei suoi colori del cuore. Ha rinunciato a tutto scegliendo il suo tutto, ovvero giocare per 24 anni con la squadra per cui ha sempre fatto il tifo guardando dal campo, seduti in curva o in tribuna, la famiglia, gli amici e gli affetti di sempre. Come ha fatto ieri. Ci ha quasi fatto credere di essere eterno Totti. Proprio come Roma. Ma ieri dopo 24 anni ha dovuto rinfoderare il Cucchiaio. L’incantesimo del tempo sospeso si è interrotto e tutti oggi ci sentiamo più vecchi.