Da Francesco a Daniele. Così come fu, inesorabilmente, da Agostino a Giuseppe. E come è stato, logicamente, da Giuseppe a Francesco. E dopo che Daniele avrà fatto piangere altri settantamila tifosi all’Olimpico toccherà ad Alessandro. E da Alessandro, la fascia passerà sul braccio di Mattia o di Cristian, chissà. Perché nella Roma essere il capitano non significa solo sorteggiare il campo con il collega avversario oppure scambiare con lui il gagliardetto prima del fischio dell’arbitro: essere capitano della Roma vuol dire innanzi tutto rappresentare tutti i tifosi della Roma. E la città di Roma. Ecco perché il capitano non può non essere romano, e romanista; non può non essere H501; non può non avere una Lupa tatuata sul cuore. Ecco perché il capitano della Roma non sarà mai uno dei tanti; uno di quelli “ma come si chiama?”: tutti sapevano che era Francesco, tutti oggi sanno che è Daniele.
De Rossi ha deciso di non togliersi la maglia giallorosa per altri due anni, diciotto (diciotto!) in totale. «Dopo l’addio di Francesco, non potevo andar via pure io. La Roma è la mia famiglia, e ho sempre cercato di portarmela sulle spalle condividendone il peso con lui. Non avrò compiti diversi o specifici da quelli di quest’anno. Anche se ci sarà questa mancanza, che farà male a tutti, ci sarà la risposta del pubblico, quella più importante: dovremo trasformare quelle lacrime in voglia di aiutare la squadra, di starle ancora più vicino perché come manca a loro manca anche a noi il nostro capitano». Aveva ragione Francesco: la fascia sul braccio di Daniele ci stava e ci starà proprio bene.