Undici mesi e quattro giorni: tanto ha impiegato la Giunta Raggi per approvare la nuova delibera che revisiona quella di Ignazio Marino sul pubblico interesse del Comune alla costruzione dello Stadio della Roma di Tor di Valle. Ieri, quindi, finalmente, l’esecutivo capitolino ha licenziato il provvedimento sul nuovo Stadio che, ora, dovrà passare il vaglio dei Municipi (IX e XI) e di sei Commissioni consiliari (urbanistica, mobilità, lavori pubblici, ambiente, commercio e sport) prima di approdare in Aula Giulio Cesare per il voto finale che la renda pienamente operativa e giuridicamente valida. Già venerdì le Commissioni sarebbero state convocate per l’espressione dei pareri sulla delibera. Cassata, quindi, l’idea circolata nelle scorse settimane a Palazzo Senatorio che Municipi e Commissioni potessero essere accantonati e che fosse sufficiente il solo voto in Consiglio comunale. Come anticipato da Il Tempo, poi, scompare definitivamente dal novero delle opere di interesse pubblico anche dalla nuova delibera il Ponte di Traiano sull’autostrada Roma-Fiumicino a Parco de’ Medici. Al suo posto, giusto come accenno, resta il Ponte dei Congressi con tutte le incognite enormi che quest’opera porta con sé: tempi di realizzazione (rischio che per almeno 2 anni dopo l’apertura dello Stadio il Ponte non ci sia) e collocazione su un unico asse di accesso/uscita dal complesso sportivo (la nuova via del Mare/via Ostiense). La nuova delibera, poi, segna una enorme riduzione del valore delle opere pubbliche che Pallotta e Parnasi dovranno pagare: 120 milioni di euro a fronte dei 270 della precedente versione “mariniana” del progetto. Rimangono i due ponti ciclo-pedonali, notevolmente decurtati nel valore dell’investimento, quello alla stazione Tor di Valle della Roma-Lido e quello dall’altro lato del Tevere, alla stazione Magliana della ferrovia per l’aeroporto. Presentati, per altro, come una sorta di rivoluzionario «asse di collegamento ciclabile» fra «le direttrici nord sud, ed est-ovest», «realizzando una nuova dorsale volta a favorire lo scambio ferro-biciletta».
Quaranta milioni per il trasporto pubblico (invece dei 45 annunciati nei giorni scorsi) che dovrebbero servire per comprare un paio di nuovi treni e ristrutturare 7 o 8 vecchi convogli ora in disuso. Trentotto i milioni per rifare l’intera via Ostiense/via del Mare dall’inizio a viale Marconi fino all’intersezione con il Grande Raccordo Anulare: stessa cifra con cui, nella vecchia versione del progetto, si finanziava il rifacimento dell’arteria dallo Stadio al Raccordo. Secondo Montuori, questa «moltiplicazione di pani e pesci» è stata resa possibile dalla riduzione dell’area destinata alle tre torri che, «liberando spazio consente opere con un minore impatto» e quindi questo «risparmio». Riduzione dei costi anche per il Fosso del Vallerano: nella versione “Marino” del progetto i proponenti spendevano 16 milioni (la richiesta del Comune era di 5 milioni); ora se ne spendono 12, anche qui, secondo Montuori, perché «le opere vengono già scontate dei ribassi» d’asta. Il reale testo della delibera, però, in barba alla tanto decantata trasparenza 5 Stelle, non è stato consegnato alla stampa: mancano, quindi, tutti i riferimenti reali alle cubature e alle superfici ed è necessario accontentarsi della decantata riduzione del 50% delle cubature del business park. Mancata trasparenza ravvisata anche da Italia Nostra che parla anche di “tanta fretta“. Alla fine, tuttavia, la Giunta Raggi porta a casa il primo vero «sì» a un’opera. Un sì che, pur atteso da oltre 11 mesi e su un progetto al ribasso, interrompe una lunghissima sequela di «no» che hanno caratterizzato questo primo anno di guida penta stellata a Roma. Prossime tappe, quindi, ravvicinatissime: il 15 giugno la delibera deve essere pronta e valida, quindi approvata o emendata dai Municipi e dalle Commissioni e poi ratificata dall’Aula. Pena ricominciare tutto da capo. «Mi aspetto di andare avanti secondo gli impegni che abbiamo preso e concordato», ha dichiarato in serata la Raggi. Avviso ai consiglieri, quindi: niente scherzi che qui ci giochiamo una fetta di futura credibilità politica.