C’erano una volta gli Anni Ottanta, e c’erano i giovani del Sambuceto Calcio, sette chilometri da Pescara. Una squadra unita nella passione per lo sport, una delle giovanili che diede le maggiori soddisfazioni alla dirigenze del tempo; o almeno così hanno sempre assicurato a quei ragazzini che si mettevano in posa come professionisti.
LA FOTO – Tra di loro, lo testimonia una foto riemersa dagli album e diventata ormai un cimelio, c’era anche Eusebio Di Francesco, il biondino in piedi, a braccia incrociate, con piglio deciso. Era un ragazzino pacato, calmo e molto riflessivo. I rari momenti di rabbia che non riusciva a mascherare e tenere per sé, creavano sgomento nei compagni. Nella stessa foto, in piedi all’estrema sinistra, c’era Ernesto Anchini, oggi dirigente del Comune di San Giovanni Teatino, che racconta: «Mi ricordo che durante lo stop tra primo e secondo tempo, negli spogliatoi – credo stessimo perdendo – mentre il mister ci spiegava lo schema di gioco, Eusebio sbottò di colpo; con rabbia iniziò a urlare per motivarci tutti a dare di più, a provarci ancora. Ci sconvolse».
LA GRINTA – Anche in campo, aveva sempre una parola di sostegno per i compagni, era un trascinatore: «Non giocavo da un mese e quando rientrai in campo, nel secondo tempo contro il Ciapi, mi lamentai di non riuscire a prendere il ritmo per le troppe assenze che avevo fatto – racconta ancora Ernesto mentre ricorda un momento tra compagni, dove «Eusebio, non so come mi sentì, cominciò a urlarmi di correre, di entrare in partita… insomma di giocare. Continuò finché non andai in rete. Lui era fatto così».
SEMPRE DI CORSA – Il calcio per Eusebio era davvero passione, che viveva senza ossessione, senza elevare i giocatori delle grandi squadre a Dei mitici. Aveva fiato, resistenza, correva per tutti i 90 minuti. Tecnicamente, ai tempi delle giovanili, non era nemmeno il più bravo. Morelli, Sprecacenere o De Nicola, i suoi compagni, erano già più avanti, ragiona oggi Anchini. Ma non avevano la stessa fame, la stessa voglia e magari, un po’ meno fortuna. Impegno, sacrificio e dedizione portarono Eusebio lontano dal Sambuceto, sopratutto quando iniziò i provini per la Lucchese e si avviò verso un percorso professionistico. Di Francesco tornava a casa solo nella pausa estiva e, «nonostante iniziasse ad entrare nel giro dei “bravi”, non ostentava mai nulla, l’umiltà è sempre stata la sua divisa». Poi ci furono gli Under 17, l’esordio in Serie A con l’Empoli, insomma cominciava a emergere il suo nome. Ma il ragazzo teneva i piedi per terra, continuava a indossare la sua divisa vivendo la quotidianità delle feste di paese a Sambuceto, quando rientrava in estate, o passeggiando in bicicletta nella sua San Giovanni Teatino; sempre con un saluto in tasca, «quella sorta di semplicità, di purezza mi è rimasta impressa» ricorda ancora Ernesto.
NEL SANGUE – Ma sono caratteristiche di famiglia, semplice come i genitori, persone alla mano che hanno mandato avanti con sacrificio la propria attività. E che, con sacrificio, hanno sostenuto il sogno di Eusebio. Soprattutto papà Arnaldo, non hai mai perso un torneo o una manifestazione; nel limite del possibile c’è sempre stato, per seguirlo e incoraggiarlo con calma e dolcezza, «qualcosa che oggi sui campi è sempre più raro da vedere» commenta Anchini. E poi c’è stata anche la società del Sambuceto, una dirigenza che lodava il gruppo e non il singolo, che sosteneva l’importanza del lavoro prima del risultato. Forse anche questo ha contribuito a formare l’allenatore che Eusebio è oggi. Un successo, racconta Ernesto che lo ha seguito con amicizia e affetto lungo il corso degli anni, costruito sul sacrificio, sulla coerenza e sulle radici che il nuovo allenatore della Roma non ha mai dimenticato.