Non tutte le partenze vengono per nuocere. Per carità, serve molta bravura per ripartire dopo aver perso titolari del calibro di Szczesny, Manolas e Salah, ma Monchi è stato preso proprio per questo motivo: creare, plasmare e valorizzare. E poi c’è un precedente della Roma americana che invita al giusto ottimismo: dopo l’estate della peggiore smobilitazione, divenuta obbligata a causa delle prime due stagioni senza coppe, la squadra seppe rimodellarsi così bene da vincere le prime dieci partite del successivo campionato, stabilendo un record italiano.
IL CASO – Era il 2013. Il direttore Sabatini doveva ripartire dalla peggiore umiliazione possibile: la Coppa Italia persa in finale nel derby con la Lazio. Ma non c’erano soldi per investire sul tessuto già esistente. E così si passò alla cassa interna: via Marquinhos per 31,4 milioni, via Lamela per 30, via Osvaldo per 16. Plusvalenze in serie che permisero comunque un mercato oculato e lungimirante: due vecchie volpi come De Sanctis e Maicon arrivarono quasi gratis, Benatia prese il posto di Marquinhos, Gervinho quello di Osvaldo, Ljajic quello di Lamela. Giocatori meno cari ma non meno bravi, o almeno funzionali, ai quali Sabatini aggiunse un vero campione, Kevin Strootman, pagato quasi 20 milioni bonus compresi.
RILANCIO – Al resto pensò un allenatore venuto da un’altra realtà, che sfoggiò dal primo giorno le sue ottime doti di motivatore: Rudi Garcia, che oltre a insistere su Gervinho contro lo scetticismo dello stesso Sabatini rilanciò giocatori in crisi come Balzaretti e Castan e, ultimo ma non per importanza, intuì che un ruolo adatto a Florenzi era quello di esterno d’attacco. Anche il sarto Di Francesco, vedrete, saprà adattarsi bene alla stoffa che gli consegneranno a Trigoria.