Eccoli lì, di nuovo insieme. Di Francesco e Defrel. Uno in panchina, l’altro al centro dell’attacco. Da Sassuolo a Roma, pronti per il grande salto. Eusebio lo conosce e sa come farlo giocare. Esterno d’attacco o vice Dzeko, per lui non fa differenza. Chissà cosa ne pensano dalle parti di Monza, dove anni fa Gregoire aveva fatto un provino. Risultato? Bocciato. Pazzi. O forse no: «Pesavo 85 kg ed ero in pessime condizioni». Ah, ecco spiegato perché l’avevano scartato. A Parma si era messa ancora peggio: «Non volevano farmi fare neanche il provino. Ho giocato un’amichevole estiva ma non avevo fiato e chiesi subito il cambio». Ma dalla sua parte aveva Francesco Palmieri, che nonostante tutto decise di prenderlo e girarlo in prestito al Foggia in Lega Pro. L’ex responsabile del settore giovanile del Parma lo voleva portare in Italia a tutti i costi: andò in Francia per parlare con i genitori e in pochi giorni eccolo a Parma. Intuizione giusta quella di Palmieri, ma all’inizio non furono in molti ad accorgersene: «A Foggia è stata una stagione complicata, ma ho avuto pazienza». Sacrifici e duro lavoro, avanti a testa bassa finché non arriva l’occasione giusta. Tac, eccola. A Cesena, dove trova Bisoli che lo fa crescere in campo ma non solo: «Grazie a lui curai anche l’alimentazione, facendo un salto di qualità».
TRA FINZIONE E REALTÀ – Migliora partita dopo partita. In bianconero 15 gol in 102 presenze e un’esultanza particolare: «Con la maglia sul naso come se fossi un rapinatore». Studiata a tavolino con gli amici di sempre: «Essendo figlio unico li considero miei fratelli, spesso scherziamo a fare il far west». Niente di serio quindi, perché l’infanzia di Defrel è stata serena e senza problemi. Sì, fino al 2005. Quando gli sembrava essere stato catapultato veramente nel far west: «Ci fu la rivolta delle periferie». Immagini difficili da cancellare dalla mente: scontri continui e cassonetti in fiamme. Ogni giorno. Gregoire guardava tutto dalla finestra, sognando un mondo migliore. Periodo difficile per l’attaccante, ma con un pallone tra i piedi tornava subito il sorriso. Pallone o Play Station, altra grande passione dell’attaccante. Nelle cuffie musica hip-hop: «In trasferta solo canzoni americane». E quando ha una serata libera se ne va al cinema a vedere Di Caprio. Calcio ma non solo per l’attaccante, che se non avesse fatto il giocatore avrebbe lavorato con i bambini.
L’INCONTRO – Già, perché fino a 18 anni aveva in testa tutto tranne che fare il calciatore. Giocava nella squadra del suo quartiere a Châtillon, periferia di Parigi. Allenamenti una volta a settimana e classica partitella della domenica tra amici. Niente di serio. In Francia già aveva la fila di richieste, ma lui voleva rimanere con i suoi amici a divertirsi. Poi l’incontro con un intermediario tra Italia e Francia e quello con Palmieri. In Italia doveva rimanere solo tre giorni, poi…
L’IDOLO – Difficile rispedirlo a casa, il gol ce l’aveva nel sangue. E anche il modello se l’è scelto niente male: «Il mio idolo? Trezeguet». Come David, l’area di rigore è il suo habitat naturale. Cresciuto a gol e sgomitate per arrivare sul pallone: «L’avversario più difficile da affrontare è Chiellini». Aspettando Roma-Juve…