La catenina al collo con un crocifisso esprime tanto del suo modo di essere. «Sono molto religioso e credo che tutto accada nel momento giusto», racconta Hector Moreno spiegando perché sia approdato tardi, a 29 anni, nel salotto del grande calcio. Nella sua prima intervista da difensore della Roma, incassate le parole di benvenuto di Monchi, Moreno manda messaggi di incoraggiamento ai nuovi tifosi: «Se qualcuno è scettico proverò a convincerlo. In questo modo ripagherò la fiducia che mi è stata concessa. Ma io sento anche gente che parla bene di me, perciò voglio concentrarmi sul lato positivo delle cose». Che è il presente denso di promesse: «Questa rappresenta una tappa importante della mia carriera e voglio sfruttare al meglio la mia occasione. Non voglio cercare alibi ma nelle ultime finestre di mercato e a ridosso del Mondiale scorso ho avuto degli infortuni piuttosto gravi. Per fortuna però è tutto passato e oggi arrivo in una squadra come la Roma nel pieno della maturità calcistica e umana».
ADATTAMENTO – Parla già benino l’italiano, almeno fuori dalle interviste, grazie alle lezioni dell’incantevole moglie Irene che ha dimestichezza con la nostra lingua. Nei primi giorni si è fatto raccontare da Dzeko, comunicando in quel caso in inglese, le caratteristiche della squadra e del calcio italiano. In campo poi, nonostante qualche problema fisico, ha cercato da subito di assimilare i meccanismi chiesti da Eusebio Di Francesco e, dopo due amichevoli un po’ complicate, cercherà di dimostrare il suo valore domani sera contro la Juventus, nell’ultimo test americano. «Mi sto adattando per capire la filosofia dell’allenatore – ha chiarito – e per me non fa differenza il partner difensivo. Manolas, Fazio, Juan Jesus, Castan. L’importante è giocare. A seconda di chi mi capiterà, mi integrerò con le caratteristiche del compagno». Contro il Psg è stato schierato da terzino, contro il Tottenham è entrato da centrale: «Nella mia carriera ho ricoperto più spesso il ruolo di difensore centrale ma se è necessario posso anche spostarmi sulla fascia».
CRESCITA – Ha notato già enormi differenze nel lavoro rispetto al periodo vissuto al Psv Eindhoven: «In Olanda non si dà tanta importanza all’aspetto tattico. Con Di Francesco invece gli allenamenti sono una continua ripetizione di movimenti che servono ad acquisire gli automatismi giusti. Meglio così: più ci esercitiamo, più sarà facile applicare il sistema di gioco in partita». Le sue caratteristiche? «Mi piace avere la palla tra i piedi e giocarla senza paura, anche in profondità. Per me il calcio dev’essere collettivo e non individuale già partendo dai difensori». E’ il primo messicano della storia della Roma, ne sente la responsabilità diplomatica: «E’ la sfida più importante della mia vita, perché rappresento anche il mio Paese nella stagione che porta al Mondiale. Sento tante critiche per la Nazionale che invece si sta preparando bene all’evento della prossima estate. Ma credo che presto il nostro calcio verrà guardato con occhi diversi perché la qualità non manca».