Ancora con la storia che non si può dire bene di Dzeko perché prima se ne diceva male. Basta. Se ne diceva male perché andava male, maluccio, e lui stesso non si nascondeva dietro alle scuse. «La colpa è mia», andava ammettendo il centravanti bosniaco. Gli si dava dell’Edin Cieco durante la sua prima stagione in giallorosso, partita in tromba e terminata quasi con un addio prematuro. Troppe offese? Non esageriamo. Quelle erano battute, romanità, ironia, le offese sono altre, sono quelle preventive, quelle senza motivo. E poi a Roma è stato criticato Falcao, figuriamoci se uno come Dzeko si spaventava davanti a qualche disappunto. Edin Dzeko diventava Edin Cieco, e pazienza, capita. Lui si è tenuto anche questo ed è andato avanti senza batter ciglio, da grand professionista. Oggi quell’Edin ci vede benissimo e sarebbe strano se qualcuno ancora lo prendesse in giro, qui ci starebbe la malafede. Invece tutti – al netto dei gusti personali, delle passioni, del mi piace più un bomber rispetto a un altro – riconoscono le qualità eccezionali di questo ragazzo splendido e calciatore meraviglioso. Tutti ci vedono benissimo, insomma. Meraviglioso per i comportamenti e per i numeri, perché davanti a un capocannoniere (lo scorso anno ha chiuso come re dei bomber della serie A) ci si inchina sempre, perché il calcio italiano lo denigrano tutti, ma fare gol qui, e tanti, non è mai facile. Lui dopo l’annata horribilis ha trovato una continuità vecchie maniere: 29 reti nel passato campionato, 8 in Europa League, capocannoniere in entrambe le competizioni, 2 in Coppa Italia, totale 39 centri stagionali in 51 presenze. In questi anni di Roma, 98 le partite giocate e 57 le reti realizzate, per finire sono 32 nell’anno solare che sta per salutarci (comprese quelle segnate con la Bosnia, ovvero 3) appena 9 in meno rispetto al re tra i re Cristiano Ronaldo.
LA GARRA – Lo abbiamo lasciato a San Siro, con quel missile verso Donnarumma, andando sempre a segno nelle ultime cinque gare in cui è sceso in campo, realizzando due doppiette. A proposito di doppiette, lo scorso anno ha punito il Napoli al San Paolo due volte, proprio lui fu l’artefice di quella vittoria. E domani gli tocca di nuovo disturbare Koulibaly, che proprio in quella sfida gli ha gentilmente regalato un gol (perdendo un pallone sulla bandierina, da lì è nata l’azione della sua rete e poi ha replicato nel finale). Napoli significa match scudetto, e significa Mertens, l’altro bomber con cui è nata una sfida quasi insolita, inaspettata. Dzeko è uno dal gol facile e dal gol importante, ha segnato alla Juve, all’Inter, appunto al Napoli, alla Lazio, al Milan, in più si è divertito con tutte le altre, dall’Udinese al Benevento. Forte con le deboli e forte con le forti. Numeri da capogiro, ma ora Edin stai calmo, stai calmo (citando Manolas). Stai calmo perché il bello può ancora arrivare, o deve ancora arrivare e serve anche quella piacevole garra intravista (e qui siamo alla sorpresa vera) contro il Milan quando, preso dalla rabbia, stava per essere espulso e Manolas, che veniva raccontato come nemico di tutti (e suo), gli ha preso la testa, lo ha guardato negli occhi e dolcemente gli ha sussurrato: «Stai calmo, Edin». Lui si è calmato e poi ha deciso il match. Strano. E Di Francesco, che ha trovato un sistema diverso da Spalletti per stimolarlo ancora, a lui si affida sempre, mandandolo in campo oltre ogni legge del turnover. Lui, finché ce la fa, ecco lì, con quel sorriso gentile continua a mettere dentro il pallone, come nulla fosse. Dzeko è stato inserito nella lista dei 30 candidati al Pallone d’Oro di quest’anno, e non è un novizio: già nel 2009 è arrivato al tredicesimo posto della classifica finale. Giocava nel Wolfsburg, che la lasciato dopo 142 gare e 85 reti. Ora siamo di nuovo a quelle medie. Quindi stai calmo, Edin. O se ti fa piacere, agitati pure. Ora puoi tutto.