Ufficialmente, s’è detto «indisponibile» a prendere in mano le redini del calcio decapitato. Se però mercoledì la giunta del Coni dovesse chiedergli di assumere personalmente l’incarico, Giovanni Malagò non potrebbe far altro che accettare. E qualcuno sussurra che in fondo non gli dispiacerebbe, diventare il commissario della Federcalcio. Certo da ieri il Coni ha allungato le mani sul calcio malato: le dimissioni di Tavecchio, scandite al consiglio della Federcalcio senza ammettere repliche, dopo esser stato abbandonato dalla “sua” Lega dilettanti, hanno portato alla decisione di commissariare la Figc. Il presidente uscente l’ha saputo mentre si congedava in una conferenza stampa simile a una resa dei conti con il mondo che lo ha rigettato. In cui ha elencato i successi di politica internazionale, quelli regolamentari col Var, l’equilibrio di bilancio. Il colpo di mano del Coni l’ha stravolto: «Un fatto gravissimo, ci sono regolamenti e leggi ». Per superarli, i legali del Coni sono al lavoro da ieri: una lunga riunione pomeridiana è servita a dettare la linea. Lo statuto che prevede il commissariamento «in caso di constatata impossibilità di funzionamento» di una federazione: definizione da far aderire al caso attuale. La scelta politica è stata comunque presa. A 80 giorni dalle Olimpiadi invernali in Corea del Sud, però, il numero uno dello sport italiano non può dire di voler montare in sella all’agonizzante mondo del pallone: per questo circolano altri nomi. Un’ipotesi è la scelta di un commissario che sia un giurista (circola il nome del vice-commissario alla Lega serie A, Nicoletti). Affiancato da due “tecnici”: il primo nome è quello di Alessandro Costacurta, calciatore e gradito all’Aic. Poi c’è Demetrio Albertini, che ha ricoperto lo stesso ruolo nel 2006. O ancora Paolo Maldini, sostenuto dai grandi ex azzurri. La formula, insomma, sarebbe quella di un uomo di legge più due di calcio.
Ma al Foro Italico sono convinti che non basti un’aspirina per curare l’ingovernabile Figc: così si lavora a un commissariamento “lungo”, almeno 6 o 8 mesi. Utili a portare avanti il programma di riforme promesso da Tavecchio, in condivisione con i campionati professionistici. Ma anche a scavallare le elezioni politiche, per togliere dall’imbarazzo il candidato in pectore alla presidenza del calcio italiano, Cosimo Sibilia, presidente della Lega dilettanti. Il nome scelto da Malagò, sostenuto pure dalla politica – ma non a ridosso di un voto in cui si presenterà al Senato in quota Forza Italia. Un nome che ha un consenso trasversale pure tra le componenti: con i calciatori ha già condiviso alcuni punti del programma, e in fondo insieme rappresenterebbero almeno il 54% dell’assemblea elettiva. Resta però un ostacolo: la durissima resistenza del consiglio della Figc. Che ieri ha rifiutato di dimettersi con Tavecchio proprio per scongiurare il commissariamento. Valutava anzi già a una data per l’assemblea elettiva del nuovo presidente: il 22 o il 23 gennaio, ampiamente entro i 90 giorni previsti dallo statuto. Per tutti in fondo, dagli allenatori alla Lega Pro, da Tavecchio all’ex presidente Abete, non esistono i presupposti per il “golpe”. E l’agitazione, nel caso in cui il Coni forzi la mano, potrebbe sfociare in una guerra di carte bollate al Tar del Lazio.