Un punto deprimente. La Roma si adegua subito al livello scadente dell’Europa League – fasi finali escluse – e rimedia un pareggio brutto e triste in casa del Viktoria Plzen. Brutto come la partita, triste per la prestazione offerta dalla squadra, scesa in campo senza le energie fisiche e mentali necessarie per portarsi a casa il bottino pieno. Poco coraggio, tanti errori banali nel palleggio, braccino corto nell’area avversaria: problemi già visti e alla sesta gara ufficiale giocata inizia a non essere più un caso.
Non è bastato il quinto rigore stagionale ottenuto da El Shaarawy dopo neppure tre minuti e trasformato ancora da Perotti (stesso copione di Cagliari) per galvanizzare la Roma. Anzi, il pari è arrivato subito ed è stato ancora Juan Jesus a farsi anticipare come un pivello di testa: dall’avvio di stagione siamo già al terzo gol che il brasiliano si porta sul groppone. Non gli ha dato una mano il connazionale Alisson, troppo lento ad andar giù sulla zuccata di Bakos. Ecco, se c’è un aspetto più preoccupante di altri nella serata è la mancata risposta delle cosiddette «riserve» schierate da Spalletti. Fatta eccezione per un buon secondo tempo di Paredes, il portiere non ha convinto, Fazio ha mostrato tutta la sua lentezza e Iturbe i soliti limiti. Ma i radar erano puntati soprattutto su Gerson, il gioiellino da 16 milioni all’esordio da titolare: dopo 45 minuti, però, la sua gara era già finita. Senza lasciar traccia. L’impressione è che il ruolo di intermedio in cui lo ha provato Spalletti non sia quello adatto per sfruttare la qualità del brasiliano, ancora parecchio acerbo e timido.
Dopo aver segnato l’1-1, su cross di uno Zeman con i capelli fucsia, i modestissimi cechi hanno preso in mano la partita per mezzora, poi un moto d’orgoglio giallorosso, sfociato in un palo di Nainggolan, e una ripresa con la Roma più interessata del Viktoria a spezzare l’equilibrio, ma incapace di finalizzare. Tutto il gioco è stato convogliato verso Dzeko, per la terza volta di fila schierato a inizio secondo tempo dal tecnico. Al bosniaco è mancato lo spunto e un po’ di cattiveria (non una novità) sul più bello, Nainggolan aveva le pile scariche, Perotti è sembrato l’unico con qualche cartuccia da sparare in canna. Così Spalletti nel finale è dovuto ricorrere di nuovo a Totti , buttato dentro insieme a Florenzi. E pure stavolta il capitano ha messo a servizio dei compagni un paio di palloni di prima dei suoi, non sfruttati a dovere. Il risultato di Plzen è giusto e fa scattare in testa al girone l’Austria Vienna, vincente 3-2 in casa dell’Astra Giurgiu, prossima avversaria della Roma all’Olimpico il 29 settembre. Troppo presto per tracciare bilanci, ma che ci sia molto, molto da migliorare è già una certezza. La domanda è: il livello della rosa è questo e Spalletti potrà far poco, oppure il solito problema di approccio mentale condiziona le prestazioni?
Intanto ci sono i numeri a certificare la modestia giallorossa quando si varcano i confini nazionali. Non che prima di facesse tanto meglio, ma se vogliamo far scattare il conto dall’avvio dell’era americana, la Roma ha vinto la miseria di tre partite su 23 giocate fra Champions ed Europa League. Dal successo del 2010 a Basilea, in trasferta ha battuto solo il Feyenoord. Andando più indietro, ha beccato gol 32 volte nelle ultime 33 sfide internazionali. Sarebbe giunta l’ora di invertire il trend.