El Shaarawy l’aveva immaginata così, ma con un finale diverso. Dzeko invece il film vorrebbe riscriverlo tutto, Defrel sperava in ruolo da protagonista, Perotti s’è preso il pieno di fischi. Vai a vedere che l’unico sorriso è quello che non t’aspetti. È quello di Schick, a cui sono bastati pochi giri di orologio per far capire che questa qui è anche la sua Roma. Il 26 novembre segna un confine tra una squadra che ha vissuto in un modo e un’altra che presto cambierà rotta.
ELSHA VA – Attacco cercasi, attacco trovasi in una giornata in cui la perla la regala ancora El Shaarawy. Non serve a vincere, ma a donare un sorriso al Faraone, eccome. «Sei tanta roba», gli dice un ragazzo dell’ufficio stampa del Genoa in mixed zone. È un saluto a un vecchia conoscenza che ieri per poco non faceva lo scherzetto agli amici di una volta. «Sono riuscito a tagliare e a incrociare bene, da sinistra mi viene più naturale, Florenzi poi mi aveva fatto un bel cross, io l’ho messa sul secondo palo ingannando Perin che se l’aspettava sul primo – il racconto di ElSha –. Peccato che il gol non sia servito per i tre punti che avremmo meritato. De Rossi? Negli spogliatoi si è scusato con tutti. Volevamo la vittoria, avremmo potuto fare qualcosa in più, non ci siamo riusciti. Ma la mentalità dimostrata deve essere il punto di partenza: sono già due gare che non vinciamo, testa alla Spal».
CON SCHICK – E Spal fa rima con attacco nuovo. Prendi Defrel: col Genoa è stata la sua miglior prestazione in giallorosso. È facile immaginare che con la Spal una maglia sarà proprio del francese. Ed è lecito pensare che lo Schick entrato nel finale sia pronto a prendersi davvero la Roma. «Difficile dare giudizi per chi gioca così poco tempo – frena Di Francesco –. Ma i suoi minuti mi lasciano buone sensazioni. È entrato bene in partita, poteva pure far gol nel fina le. Se può partire dal primo minuto? Lo valuteremo». Il pensiero allora corre subito a Dzeko, che allunga la striscia di partite senza gol. Il 18 ottobre è una vita fa, i giorni passano e pesano. E il nervosismo che ha accompagnato tutti i suoi 90’ ne sono la spia. Forse davvero a Genova è nata un’altra Roma.