Mica è sempre domenica. Il calendario, anche qui in Boemia, ha piazzato in mezzo alla settimana un giovedì che poco stimola e ancora meno s’è rivelato generoso di magie. Non è mica sempre Totti e Dzeko, non c’è mica sempre un diluvio universale a schiarire le idee a una Roma che pare avvitata su se stessa, si sente grande e piccola nell’arco della stessa partita chissà quante volte, basta un alito di vento e addio. L’alito di vento con il quale Luciano Spalletti ha provato a gonfiare le vele alla Roma è sempre quello: sa di formula magica, dentro Dzeko e poi Totti — ieri non in coppia, ma uno dopo l’altro —, ma stavolta niente. «Non posso prometterlo», diceva due giorni fa Spalletti a un giornalista ceco che quasi lo implorava di far giocare Totti. Non voleva prometterlo, perché forse in cuor suo il tecnico sperava che la Roma sarebbe riuscita a cavarsela da sola.
NIENTE MAGIA – Macché, squadra addormentata e dal passo lento, come avesse scalato i 298 gradini della cattedrale di San Bartolomeo di Plzen. Che poi questa Europa farà pure meno gola della Champions ma qui non c’è bacheca che permetta di snobbare neppure una partitella del giovedì, figurarsi un impegno vero. Dentro Totti e Dzeko, allora. Dai che arriva un’altra Samp. Dai che arriva l’accelerata prima e la vittoria poi. No, stavolta la scintilla non è scattata. S’è capito presto, minuto 27 di un secondo tempo dimenticabile: la Doosan Arena esulta per l’ingresso in campo del 10, il capitano sventaglia a memoria su Florenzi, ma il lancio non è preciso e forse i primi a stupirsi sono i difensori del Viktoria.
Dzeko è lì ad attendere, un paio di movimenti giusti, l’ultimo quasi a tempo scaduto che pareva la fotocopia del 2-2 di domenica scorsa: niente magia. Nel cuore di una Roma che non aveva voglia neppure di fare l’ordinario, se è vero che ha tirato in porta solo tre volte, la stessa squadra che in campionato viaggia a una media di otto conclusioni ogni 90 minuti. Nessun giocatore della Roma ha tirato in porta per più di una volta: crederci fino in fondo, è un’altra cosa. Totti e Dzeko, per dire, lo specchio della porta non l’hanno proprio centrato. «Ma che vi devo dire, dopo 25 anni?», scherzava il capitano in zona mista dopo il match. Niente da dire, tanto da capire. È che la Roma pare essersi abituata allo straordinario, perdendo di vista l’ordinario. A Firenze, domenica, bisognerà trovare una formula che prescinda dall’irrazionale.