Alla fine del suo giretto di tre settimane tra le ambizioni della concorrenza, la Juventus sa che in Italia non c’è ancora una squadra più forte di lei, che quel punto di vantaggio che il Napoli conserva è appeso a un filo (un filo già quasi reciso nel confronto diretto), che non sarà l’Inter a mettere in discussione la tirannia bianconera ma neanche Di Francesco, l’ultimo ad aver provato, senza riuscirci, a intaccare in qualche modo la Signora che invece ne è uscita senza neanche un graffio, come al solito, come sempre. Le unghie giallorosse, per la verità, ci sono andate vicine, ma poi la Roma le ha ritratte invece di affondarle: il gol che s’è divorato Schick all’ultimo secondo ha fatto mangiare le mani (unghie incluse, per rimanere in tema) all’intera popolazione romanista, ma c’è un senso per tutto: per quell’azione come per quella partita. La Juve è risalita (quasi) in cima puntando tutto se stessa, giocando anche carte rischiose (Dybala stavolta non ha giocato nemmeno un minuto, la funzionalità della squadra non prevede la sua presenza) ma ritrovando pezzo dopo pezzo le sue caratteristiche migliori, che poi sono la personalità e l’eclettismo, la compattezza e la coscienza di sé: nel momento in cui s’è visto sull’orlo della crisi, Allegri ha rimesso la squadra sui binari, quasi ci fosse bisogno di un principio di deragliamento per convincere i giocatori a seguirlo. La Juve non prende gol da otto partite ma, soprattutto, ha passato indenne la fase più pericolosa della stagione, uscendone con un’unica preoccupazione residua: il Napoli. Ma con la Roma la Juventus non ha vinto solo ieri sera, non quando se l’è trovata faccia a faccia: l’ha battuta portandole via – in modo diretto o indiretto – i giocatori che qui sono stati decisivi (Pjanic, Szczesny, Benatia) e lasciandole quello che avrebbe voluto prendere e poi non ha preso, cioè Schick, decisivo pure lui mai all’incontrario.
Considerando il peso che ha avuto Higuain nella vittoria di Napoli, si capisce perché l’unica a non averci lasciato le penne è stata l’Inter: nella Juve non ci sono ex nerazzurri. La gara dello Stadium è stata di alto livello, probabilmente la migliore, per contenuti tecnici tattici e fisici, dell’intero campionato. È stata una partita senza pezzi d’autore, ma un grande confronto tra collettivi che la Juve ha vinto per naturale superiorità e la Roma perso perché, pur in una prestazione collettivamente corretta, le è mancato il peso che ogni giocatore dovrebbe saper dare e che troppi giallorossi di rango (Strootman, Nainggolan, Perotti, Dzeko) non hanno dato. Nella Juve nessuno è andato sopra le righe, ma non ci sono state defaillance. Il gol di Benatia (tre tiri in un’azione, Alisson aveva preso i primi due di Chiellini e del marocchino) ha indirizzato il corso degli eventi che però è sempre stata la Juve a dirigere anche se le è mancato il colpo del ko, un po’ perché Higuain ha spedito alti i due assist migliori (di Mandzukic e di Matuidi) un po’ perché la Roma ha saputo difendersi bene in area, anche se a centrocampo è stato un naufragio: da una parte c’erano uomini alla deriva, dall’altra vigorosi rematori qualunque fosse la direzione della corrente. Il merito della Roma è stato di non perdere mai né la calma né la speranza: qualsiasi altra squadra avrebbe ceduto alla frustrazione ben prima. Invece è rimasta aggrappata al risultato, è stata sfortunata (traversa sotto misura di Florenzi, il 17esimo palo della stagione, poco prima che ne prendesse una anche Pjanic), è stata sterile – e ci sarà un motivo se nelle ultime quattro gare ha segnato un solo gol, su azione – ed è stata sprovveduta quando l’unico errore di Benatia ha spalancato mezzo campo a Schick, che ha avuto tutto il tempo di puntare Szczesny, di vendicarsi della sfiducia che sul mercato la Juve ha avuto in lui. Invece ha dato ragione a chi l’ha scaricato, e torto a chi l’ha comprato.