Il Vangelo secondo Michael Jordan ad un certo punto recita: «Nella mia carriera ho fallito più di novemila tiri. Ho perso quasi trecento partite. Trentasei volte i compagni mi hanno affidato il tiro decisivo e l’ho sbagliato. Nella mia vita ho fallito molte volte. Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto». Fossimo in Eusebio Di Francesco, consiglieremmo a Patrik Schick di ripetere queste frasi, perché se il più forte giocatore della storia del basket ha avuto bisogno di tempo per capire che saper convivere con l’errore è il primo passo verso la grandezza, figuriamoci di cosa necessiti un ragazzo di 21 anni alla sua prima stagione in un top club di Serie A. Certo, la palla gol sciupata contro la Juve è stata clamorosa e tra l’altro, se Schick avesse segnato, avremmo celebrato non solo il pari della Roma, ma raccontato una favola: l’anatroccolo preso e ripudiato dalla Juve per problemi cardiaci, le infligge un gol «pesante» nella corsa scudetto. La vita, però, non sempre ama il lieto fine e così il giovante – a seconda delle fede professata – si è ritrovato irriso o insultato sui social, mentre lo spogliatoio lo raccontava nel dopo gara psicologicamente devastato.
A questo punto l’avviso ai naviganti ci sembra doveroso. I protagonisti del calcio del Terzo Millennio devono saper convivere con la potenza devastante dei social che nessuno sportivo del passato ha mai conosciuto. D’altronde, se migliaia di persone che si dicono cattoliche «insegnano» a Papa Francesco come debba fare il Pontefice (vedi le polemiche sullo «ius soli»), figuriamoci cosa possono scrivere i tifosi contro un calciatore, per giunta col peccato originale di essere il più costoso della storia giallorossa (42 milioni circa). La vera grandezza (così come il vero tifo) sta però nel sapere archiviare il passato e ripartire. Le qualità indiscutibili di Schick non sono solo un patrimonio della Roma, ma anche di una Serie A sempre più povera di stelle. Forse può essere piaciuta poco la sincerità di un ragazzo che solo un mese fa confessava di considerare quella attuale come una tappa di passaggio verso club di levatura mondiale (Real Madrid, Barcellona, i Manchester). Il fatto è che potrebbe avere ragione, ed è per questo giovani così vanno accompagnati nella crescita e non bruciati alle prime incertezze. Vedere solo in tv le evoluzioni straordinarie di Aubameyang o Coutinho dovrebbe averci insegnato che la fretta ha rubato al nostro campionato dosi di talento di cui avremmo disperatamente bisogno. Per questo «S.S.S. – Salvate il Soldato Schick» potrebbe essere l’acronimo non solo dei romanisti, ma anche di coloro che valutano il calcio come atto di fede nel bello che verrà. Sarà questo, in fondo, a farci tutti davvero più ricchi.