Se volessimo nobilitare le vicende minime del calcio, potremmo dire che dalla sconfitta contro l’Atalanta – grazie alle oneste parole di commento del d.s. Monchi – le analisi della Roma vanno inquadrate in una prospettiva storica. «Negli ultimi 16 anni sono cambiati 250 giocatori e non so quanti allenatori o dirigenti. Perciò non credo ci sia un problema di persone, ma di mentalità». Rinfreschiamo la memoria. In effetti, dall’anno dell’ultimo scudetto (2001), sono passati 16 anni, 2 proprietà, 4 presidenti, 13 allenatori (Spalletti due volte) e un nugolo di dirigenti apicali. Ebbene, se si eccettuano due Coppe Italia e una Supercoppa, la Roma è rimasta quasi costantemente al vertice del calcio italiano (i secondi posti sono stati ben 9), ma da 10 anni ha perso il sapore della vittoria. «Un problema di mentalità», dice appunto Monchi che, pur nel piccolo Siviglia, di vittorie se ne intende. Intendiamoci, la teoria dell’ambiente non convince tutti. Garcia diceva come Roma fosse «la piazza più difficile del mondo», mentre Spalletti replicava come sia «la città ideale per fare calcio». Anche i tifosi, perciò, non hanno idee univoche.
DOPPIO VERTICE – La cosa più semplice, ovviamente, è chiedere sempre e solo giocatori forti. Sarebbe bello, ma il club giallorosso ha delle esigenze a cui non può derogare, e lo spiega lo stesso Monchi. «Prima di tutto però bisogna avere soldi e una situazione economica positiva. Voi conoscete la situazione economica della Roma, le soluzioni dobbiamo cercarle a Trigoria e non sul mercato». E a chi gli chiede se entro il 30 giugno saranno necessarie altre cessioni, risponde sincero: «Forse sarà così». Per questo, dopo che la squadra è scivolata fuori dalla zona Champions, sia pur con una gara da recuperare (come la Lazio), anche per la questione bilancio c’è da correre ai ripari, visto che l’Europa che conta è indispensabile per evitare di vendere ancora stelle. Insomma, i vertici giallorossi – che oggi saranno in conclave a Trigoria – corrono già ai ripari. Il problema ovviamente non può essere Di Francesco, che si è adattato a una rosa non perfetta per il suo calcio (manca un esterno destro d’attacco) e che – pur in presenza di una qualità media alta – deve sopperire a lacune difensive (terzino destro) e registiche (in assenza di De Rossi, Gonalons non convince). Di sicuro però – dopo gli exploit di Champions – la sorprendente eliminazione dalla Coppa Italia e l’arretramento in campionato (1 punto nelle ultime 3 partite) si spiega sopratutto con l’ottavo (appena) attacco del campionato e la perdita anche del primato difensivo (adesso guida anche qui il Napoli). Assai probabile, perciò, che il presidente Pallotta – atteso a Londra l’11 gennaio per la partita dei suoi Boston Celtics contro Philadelphia – come ogni anno di questi tempi convochi i dirigenti per fare il punto della situazione, magari facendo anche una ricognizione sulle mosse di mercato.
STROOTMAN E BARELLA – Nello stato attuale la Roma non potrebbe pensare a nuovi arrivi, ma se Bruno Peres fosse ceduto al Benfica o al Galatasaray, in difesa qualcosa sarà fatto di sicuro, anche se il prestito di Darmian è difficile. Difficile è anche la cessione di Nainggolan (non più intoccabile), ma prendono corpo le voci che vogliono Strootman intenzionato a cambiare aria. Anche se il rendimento dell’olandese è in declino, la sua clausola di rescissione è interessante (45 milioni a scendere) e per sostituirlo piacciono Barella (Cagliari) e Castro (Chievo), che però ora è infortunato.
CASO SCHICK – In attesa che arrivi quel main sponsor che faccia lievitare i conti, c’è da risolvere anche la questione legata a Schick. L’attaccante è stato il più pagato calciatore della storia del club (42 milioni) ma, al netto del sicuro talento, finora ha avuto un rendimento modesto. Ovvio che sia sbagliato farne un capro espiatorio, ma il rischio che diventi l’immagine vetrina di una nuova stagione deludente va evitato.