La prima immagine che ti arriva da San Siro è quella di Francesco Totti al fianco di Daniele De Rossi. In tribuna, però. Peccato. E, fatalmente, ti travolge la nostalgia del tempo e forse anche della Roma che fu. Una foto che ti fa anche correre un brivido lungo la schiena: ma chi gioca? Dai un’occhiata al campo e ti accorgi che undici in maglia bianca ci sono, compresi un paio di possibili/probabili partenti. La cosa non ti tranquillizza (mai cedere alla tranquillità), ma – se non altro – ti fa tirare avanti, in attesa di tempi (e risultati) migliori. Poi, dopo la rete di El Shaarawy, vedi i due capitani in piedi ad esultare, pugni al cielo, come due tifosi di curva. La cosa, conoscendoli, non ti stupisce, ma dentro ti fa scattare qualcosa. E allora cominci a fantasticare, pensi a mille cose, tutte belle ovviamente, sulla scia di quell’energia, romana e romanista, trasmessa da quei due cuori mezzi gialli e mezzi rossi. Perché, in fondo, una partita di pallone è soltanto una sequenza infinita di emozioni, palpiti di ogni genere e spesso, molto spesso contrastanti.
PRESENZE DANNOSE – Temevi che la Roma, per tutto quello che era capitato in settimana, potesse farsi travolgere in un paio di minuti da un avversario smanioso di ammazzarti (sportivamente, certo), invece ti ritrovi a trascorrere un intervallo fatto di speranza e paura. Sì, perché, come insegna la storia, della Roma non ti puoi, anzi non ti devi fidare. Soprattutto se, ad un certo punto, vedi spuntare dalla panchina chi non vorresti mai (più) vedere sul terreno di gioco; chi dovrebbe essere da una vita altrove e invece sta ancora lì. E che va dentro, contribuendo a rovinare partita e sogni, speranze ed emozioni. Non certo per esclusiva colpa sua, certo, ma fornendo un contributo determinante. Impensabile che, rinforzando la linea di difesa, si vada incontro a maggiori rischi. Eppure è accaduto proprio questo. Ma la Roma è fatta così, unica nel bene e nel male. Una squadra che ha il comandante più alto del campionato che, però, non riesce ad intercettare l’unico pallone che mai e poi mai doveva arrivare sulla testa dell’avversario alle sue spalle. E i volti di Totti e De Rossi, lassù in tribuna, in quel momento erano la sintesi perfetta della situazione. L’amarezza, insomma, non sta tanto nella vittoria sfumata quasi in extremis, quanto nel vedere quei due capitani solo in tribuna.