Gennaio è raramente mese di grandi cessioni in casa Roma, anche se negli ultimi anni qualcosa si è mosso anche nel cosiddetto mercato di riparazione. Nulla di paragonabile all’addio di una pietra angolare come Dzeko ma, andando indietro nel tempo, il primo colpo grosso in uscita è senz’altro quello di Gervinho, al quale venne mostrata la porta di Trigoria, direzione Cina, praticamente in contemporanea con l’esonero di Garcia, che lo aveva fortemente voluto in giallorosso. Un addio remunerativo per le casse romaniste (18 milioni di euro più 1 di bonus), rimpinguate per poter arrivare a due elementi cruciali come Perotti e Stephan El Shaarawy, decisivi nei primi sei mesi dello Spalletti bis. Un anno prima, nel 2015, toccò a Mattia Destro, corteggiato dal Milan con tanto di celebre blitz di Adriano Galliani sotto casa dell’attaccante: un prestito con diritto di riscatto che non andò a buon fine nell’estate successiva, nonostante la lunga fase di convincimento di qualche mese prima da parte dell’amministratore delegato rossonero.
Riavvolgendo il nastro di altri dodici mesi si arriva alla cessione capolavoro di Michael Bradley, ai margini delle rotazioni della prima Roma di Garcia nonostante un gol pesantissimo realizzato nella trasferta di Udine: 7,35 milioni di euro sborsati dal Toronto Fc, prontamente reinvestiti per arrivare a un pilastro futuro come Radja Nainggolan. Il trasferimento più eclatante delle varie sessioni invernali romaniste rimane però quello di Antonio Cassano, frutto di una rottura prolungata con la società per il rinnovo di contratto: nel gennaio 2006, Fantantonio lasciò Trigoria per volare al Real Madrid, dietro il pagamento di 5,5 milioni di euro. Tre anni prima era toccato a uno degli eroi dello scudetto, Gabriel Omar Batistuta, salutare la Città Eterna a gennaio con un malinconico prestito all’Inter: la trattativa per cedere l’argentino, ormai ombra del centravanti strepitoso dell’anno del tricolore, venne definita da Franco Sensi una «fregatura» rifilata a Massimo Moratti.