Ha tolto il calcio italiano dalle mani di presidenti miopi e dirigenti litigiosi. «Resta casa loro, ma se non sei in condizione di aprire o chiudere la porta non ci posso fare niente» . Da ieri le chiavi di casa Italia le ha prese Giovanni Malagò: farà il commissario della Lega di Serie A, incaricato – e sembra un paradosso – da Roberto Fabbricini, suo sottoposto al Coni e nuovo commissario della Federcalcio. Per 6 mesi (prorogabili), il calcio sarà roba loro.
Ieri sera erano tutti a cena, commissari e sub commissari, per stilare l’agenda del salvataggio. Su due canali paralleli: la Lega con Malagò assistito da due sub commissari come l’avvocato Nicoletti e l’ex calciatore Corradi. E la Figc, incapace solo 4 giorni fa di darsi un leader, affidata al fedelissimo Fabbricini con due scudieri: l’avvocato Clarizia, luminare del diritto amministrativo fedelissimo di Alfano, premiato da 2 milioni di compensi per seguire i contenziosi di Consip; e Alessandro Costacurta, a cui spetterà il compito di scegliere il nuovo ct.
E visto che l’origine della slavina che ha travolto il pallone è iniziata con l’esclusione dal Mondiale e l’esonero del tecnico Ventura, il nuovo corso non potrà che ripartire dal ct. «Mancini è uno dei papabili», ammetteva, nemmeno troppo timidamente, Costacurta ricordando i suoi trascorsi con lui. Dicono addirittura che i due abbiano già parlato: in fondo Mancini è amico personale di Malagò almeno quanto Totti, i due giocano spesso a padel e non disdegna il salotto del mitico Circolo Aniene, da cui provengono in tanti della nuova squadra. Ma non è un candidato unico: pure Conte, come Mancini, ha una passione viscerale per la panchina della Nazionale, che in più ha allenato («E compiuto un miracolo sportivo», ricordava Costacurta). In più potrebbe liberarsi subito se il rapporto conflittuale con il Chelsea degenerasse in un esonero che a Londra nessuno esclude più. Curioso che per scegliere, Costacurta voglia prima parlare con loro: un “talent”, in cui far combaciare programmi e costi con le possibilità – più che le priorità – della Federcalcio.
Una scelta su cui supervisionerà proprio Malagò, che per sé ha tenuto invece la “cassa”. Ossia la Serie A, che sta decidendo una partita da un miliardo di euro: quella dei diritti tv. Certo il campo è minato, come dimostrano le telefonate in cui tanti presidenti si candidavano a fare da commissario dell’assemblea milanese. Struttura semplicisticamente riconosciuta come un coacervo di prepotenti che perseguono interessi personali: ma che adesso può garantire un successo moderatamente semplice. Intanto perché, causa impegni olimpici, Malagò dovrà affidarne da qui al 26 febbraio la gestione al suo “vice”, Nicoletti, che in Lega ha dimostrato di sapersi muovere. Poi perché gli interessi in ballo sono univoci: incassare il più possibile dalle tv. Terzo, perché l’altro punto in ballo, ossia la nomina dei vertici della Lega, è decisamente più semplice da trovare se tra le due anime se ne incastra una tecnicamente imparziale. Oggi ci si scontra per la nomina dell’ad: Cairo e il suo gruppo “tifano” per lo spagnolo Tebas o l’ex Procter& Gamble Kahale, ma mezza serie A non è d’accordo. Posizioni distanti che però il presidente del Coni può avvicinare. Perché almeno uno dei due fronti dovrebbe fare un po’ più fatica a dire di no al capo dello sport italiano. Riuscire a mettere d’accordo una Lega che da sola non voleva saperne di trovare un punto d’incontro, per Malagò, non potrebbe che diventare un potentissimo volano politico.