A 72 anni e mezzo, non si è ancora accontentato delle vie di mezzo. La telefonata arriva mentre Mircea Lucescu sta passando i controlli di sicurezza di un aeroporto tedesco: ha passato il weekend a guardare tre (!) partite di Bundesliga per osservare da vicino i calciatori turchi che giocano in Germania. «Per me è importante stare a contatto con i ragazzi – racconta – molti di loro sono ancora giovani e sono indecisi se accettare la mia convocazione o se aspettare la nazionale tedesca. Ma dopo l’eliminazione dal Mondiale non ho scelta: per rilanciare la Turchia devo partire dal basso». Nato rumeno quasi per caso, Lucescu sta creando il suo nuovo laboratorio.
Sembra di sentire le parole dei nostri dirigenti federali. “Beh, la situazione nostra non è diversa da quella italiana. Bisogna organizzare un progetto serio in vista degli Europei del 2020”.
In che senso “nostra”? Ha imparato anche il turco? “Ma no, a Istanbul mi esprimo in inglese. E poi mi faccio capire dai giocatori”.
Ha visto l’exploit di Cengiz Ünder con la Roma? “Come no. Ma per me non è una sorpresa. Era solo questione di tempo. Cengiz ha solo 20 anni”.
Per questo qualche mese fa sosteneva che avesse lasciato la Turchia troppo presto? “No, mi scusi ma in quel caso sono stato frainteso. Intendevo solo dire che per la nazionale turca, all’epoca in corsa per il Mondiale, era un problema raggruppare tanti calciatori che si erano mossi da una squadra all’altra, molti dei quali andando verso l’estero. Emre Mor non giocava a Dortmund, Salih che è un ragazzo del 1998 faticava a Colonia… Adesso va meglio. Anzi, a proposito di Ünder…”.
Cosa? “Ha avuto coraggio ad allontanarsi da casa scegliendo un campionato tattico come il vostro. L’esperienza gli servirà per maturare più velocemente. Sono stato io a dirgli più volte di tenere duro, di non mollare la Roma nemmeno in prestito, perché ero sicuro che gli avrebbe fatto bene lavorare in Italia con un bravo allenatore come Di Francesco. Appena ha capito un po’ la lingua e i meccanismi, ecco i risultati”.
Già ma voi due come parlate? “In italiano. Così lo aiuto. E credetemi, mi comprende bene. Comincia anche a parlare un po’. Potrà solo migliorare”.
Quindi Monchi non ha sbagliato a investire 15 milioni su Ünder. “Assolutamente no. Ne sono convinto. Anche a Di Francesco ho consigliato di insistere su di lui, di lavorarci con pazienza, perché le qualità alla lunga sarebbero venute fuori”.
In Turchia lo paragonano a Dybala, o a Douglas Costa che lei ha plasmato allo Shakhtar. “Non farei paragoni ma Cengiz potenzialmente ha tutte le qualità che servono. E’ rapido, aggressivo, ha un buon dribbling, sente il gol, ha un tiro importante. Se continua a seguire gli allenatori che lo guidano, farà una grande carriera”.
Nella Turchia ha cominciato bene con Fatih Terim, poi con Lucescu ha ripreso a giocare le amichevoli di novembre segnando un gol all’Albania. “Io punto tantissimo su di lui per il futuro. Sarà un pilastro della nuova nazionale. Mi auguro che giochi con continuità, abituandosi ad avversari sempre diversi. Perché la Serie A non ti presenta mai una partita uguale all’altra”.
Che ne pensa invece delle difficoltà di Çalhanoglu al Milan?
“Il principio è simile. Uno straniero ha bisogno di un periodo di apprendistato. Anche lui è un emergente, ha 23 anni. Non sono tanti i giovani stranieri in Serie A. Diamo tempo al tempo”.
Invece Douglas Costa, al netto degli infortuni, piano piano sta conquistando la Juve. “Non avevo dubbi sul suo conto. Peraltro vedo che Allegri lo utilizza su tutt’e due le fasce, facendolo abituare a partire anche da sinistra. Così è diventato un giocatore ancora più completo”.
Douglas Costa è un ex dello Shakhtar, che è stato casa di Lucescu per otto anni. Ora il suo erede Fonseca contende alla Roma i quarti di Champions League. “E non sarà facile batterli. Fonseca è stato intelligente perché, dopo aver provato a cambiare un sistema di gioco che allo Shakhtar ormai andava con il pilota automatico, è tornato a utilizzare lo stile che avevo impostato io: possesso palla, velocità… La squadra poi più o meno è la mia. E anche se in campionato gioca contro nessuno, ha dimostrato grande solidità mentale battendo Napoli e Manchester City nel girone”.
Chi è il giocatore più temibile? “Il faro è il centrale di centrocampo, Fred. Era un’ala sinistra un po’ anarchica, l’ho piazzato io davanti alla difesa. Andrà pure lui al City, come chi l’ha preceduto cioè Fernandinho. Ma sono tanti quelli bravi. Marlos, Taison. E poi Bernard che è tornato ad alti livelli e a giugno se ne andrà a scadenza. Fatemelo dire: è un errore che io non avrei mai permesso”.
Non è un handicap per loro giocare a Kharkiv invece che a Donetsk dove c’è la crisi politica? “No, non è un problema. Lo stadio sarà pieno. Come era pieno quando giocavamo a Kiev o a Lvyv. I tifosi sono caldi e abituati. Semmai la difficoltà è un’altra: dopo la pausa invernale la squadra potrebbe non essere al top. Lo auguro alla Roma”.