La tappa di Kharkiv, nell’Ucraina orientale, è lontana 2037 chilometri dalla Capitale. La Roma, accolta dalla neve e dal gelo, si sposta fino al confine con la Russia per continuare il suo viaggio in Europa. Da 10 anni non arriva ai quarti di Champions: in ballo il prestigio, insomma, e anche il bilancio. Stasera, alle ore 20,45 nel freezer del Metalist Stadion, l’andata degli ottavi contro lo Shakhtar: da temere il freddo, con l’orario che non aiuta (fischio di inizio alle 21.45 di qui) e da non snobbare questa rivale che, guardando i precedenti nel torneo e le caratteristiche dei suoi giocatori, è comunque scomodo. Da Trigoria i giallorossi si sono mossi ricordando l’unica volta che il club di Donetsk è riuscito a entrare nelle migliori 8 del continente. Fu proprio nel 2011, quando eliminò la Roma, ko sia all’andata con Ranieri in panchina che al ritorno con Montella subentrato in corsa durante quella stagione che finì con l’insediamento della proprietà Usa.
INCROCIO IMPREVISTO – Ma la sfida è in programma a Khakiv, 300 chilometri a est di Kiev, e non più a Donetsk dove la Roma è caduta sia l’8 marzo del 2011 (1-0) che il 22 novembre del 2006 (3-0), senza aver mai segnato in trasferta allo Shakthar che, dal 2014, ha dovuto abbandonare la sua Donbass Arena, bombardata durante la guerra, trasferendosi prima a Leopoli e poi qui. Dove Di Francesco e Fonseca si giocano la qualificazione da intrusi della manifestazione, avendo rispettivamente eliminato, ribaltando il pronostico, l’Atletico Madrid e il Napoli. Il tecnico giallorosso addirittura con il 1° posto (e 11 punti, il raccolto minore tra le 16 promosse), il collega con il suo calcio arrogante. A sorpresa, quindi, ma con merito. Lo Shakhtar, fresco per la sosta invernale (67 giorni di riposo e 6 amichevoli), ha appena ripreso il campionato: successo largo per confermare il primato. La Roma, invece, ha ricominciato a vincere: tris consecutivo per salire al 3° posto. Con il 4-2-3-1 e i 4 gol in 3 partite di Under che può esordire nel torneo proprio contro la squadra che, per 12 anni (2004-2012), ha preso quota con il suo ct Lucescu. Il ventenne accanto ai big per superare gli ottavi, obiettivo fallito negli ultimi 3 tentativi (2009 contro l’Arsenal, 2011 contro lo Shakhtar e 2016 contro il Real). E centrato, invece, nei tre precedenti, cominciando in Coppa dei Campioni a Sofia, gol di Falcao contro il Cska, il 19 ottobre del 1983 (arbitro, pensate un po’, il francese Vatrout, celebre poi il caso Dundee, aprile 1984).
SPIRITO SUDAMERICANO – Più che l’orgoglio e la tenacia dei minatori del Donbass, lo Shakhtar mostra in campo la spavalderia e il ritmo dei talenti del Sudamerica. Che sono in sintonia con l’erede di Lucescu, arrivato dal Portogallo e originario del Mozambico. Fonseca, capace di mantenere la promessa di travestirsi da Zorro per il successo sul City di Guardiola, ha finora fatto l’enplein nelle gare di questa Champions giocate in Ucraina. Ha chiuso, appunto in maschera, battendo il Manchester, dopo aver superato al Metalist pure il Napoli e il Feyenoord. E, sempre con il 4-2-3-1, puntando sul rombo offensivo. L’argentino Ferreyra è il centravanti, i brasiliani Marlos, Taison e Bernard lo accompagnano di lui, da destra a sinistra, trio veloce e raffinato di trequartisti. Proprio la Seleçao da anni è entrata nel dna della squadra: sono passati da qui Willian, Fernandinho, Luis Adriano (migliore realizzatore del club in Champions: 20 reti) e Douglas Costa. Ora, nella rosa, sono 8: con Bernard, il più prolifico del gruppo nella fase a gironi (3 reti), Marlos e Taison, anche i difensori Ismaily e Dodò e i centrocampisti Patrik, Dentinho e Fred che in estate andrà al City. Con il portoghese, il baricentro è più alto. Trazione anteriore, dunque, con giocatori tecnici e rapidi. Ma assetto spesso sbilanciato davanti al modesto portiere Pyatov. Lucescu lo avrà detto a Di Francesco e soprattutto a Under.