Chiarisco subito: me ne frega il giusto di difendere l’allenatore o no. E me ne frega il giusto di scivolare nel bitume della tattica e della scelta degli uomini. Perchè c’è è una cosa che ieri all’Olimpico è parsa sin troppo chiara, impietosa addirittura, nel confronto tra Milan e Roma. Il Milan di Gattuso è una squadra ambiziosa oltre la normale ambizione. Si è convinta ed esaltata nella rincorsa ad una piazza Champions, impensabile e proprio per questo affascinante, appena poche settimane fa. Alla portata ora, a maggior ragione con il derby alle porte e il gusto di aver messo l’Inter nel mirino. Gattuso li ha convinti ad uno ad uno, sorretto dal club che l’ha scelto, che si poteva fare. E la squadra ha risposto. Si chiamano sollecitazioni interne. Ecco, appunto.
E quali sono le sollecitazioni interne che sono arrivate ai giocatori della Roma? Compra e vendi. Vendi e compra. La priorità dello stadio «Perchè per vincere serve lo stadio». Il bilancio. I giocatori trattati come asset. I calciatori hanno capito, da tempo, come questa sia una piazza di passaggio, dove mettersi in mostra per andare altrove. Hanno capito come la proprietà speri che giochino alla grande, più che per i risultati, per il valore che acquisiranno sul mercato. E inconsciamente reagiscono di conseguenza. Poi, i più giovani magari scivolano pure su qualche dichiarazione, come Schick quando raccontò che si vedeva in un grande club, praticamente senza aver ancora giocato nella Roma. O l’ex allenatore dell’Under 21 turca, che ha raccontato come Gengiz Under abbia ben chiaro l’obiettivo dell’approdo in un grande club. E questo dopo 4 partite giocate bene nella Roma.
Per dire: anche i ragazzini, più che pensare a dove sono, pensano a dove andranno. Io credo che i risvolti psicologici di un mercato pesante in estate e addirittura scioccante in gennaio – lo è un po’ meno solo perchè Dzeko alla fine non è partito – abbiano segnato fortemente i calciatori agli ordini di Di Francesco, ora chiaramente in difficoltà sul piano delle scelte e della via da intraprendere per tenere alte le motivazioni. Ammesso che ancora ce ne siano. Fateci caso: quelli più in crisi sembrano essere proprio quelli che salgono più spesso sull’altalena del mercato. Da un irriconoscibile Nainggolan a un pallidissimo Dzeko. E come diavolo dovrebbe fare un allenatore a convincere i giocatori a spingere al massimo se l’atmosfera non è quella della costruzione di un progetto sportivo, ma di realizzazione finanziaria sulla loro pelle?
Ora, chiaro, tutti a dare addosso all’allenatore. Colpa di Di Francesco. Colpa di Luis Enrique. Colpa di Zeman. Colpa di Garcia. E Spalletti? Lui se n’è andato – parole sue pubblicate dal Corsera giorni fa – perchè «Pallotta mi aveva fatto chiaramente capire che avrebbe venduto i migliori». Il calcio è l’unica azienda al mondo in cui raramente pagano i proprietari e i manager, spesso i protagonisti di eventuali flop, ma sempre e comunque l’allenatore. Quindi sapete che c’è? Ma sì dai mi adeguo: è colpa di Di Francesco. O forse no, forse ha ragione Jim Pallotta. E’ colpa della stampa e delle radio, scemo io a non pensarci.