Colpiti al cuore. Non ci sono parole per riempire il pozzo di sgomento in cui la morte di Davide Astori ha precipitato il calcio italiano e tutti noi che lo amiamo. Solo il silenzio di una giornata che doveva rimbombare di passione sino a tarda sera e che invece s’è fermata nel tempo e nello spazio, congelata da un’ombra oscura, una nebbia fatta di dolore e incredulità. Un elettrocardiogramma interrotto. Il pallone si è fermato di colpo, quasi d’istinto, per fortuna. E’ giusto, anzi sacrosanto così. Ma non era scontato.
Questa tragedia non avviene in campo, in strada o sulla pista, com’è stato per Curi, Casartelli, Morosini e Simoncelli. La tv non ci consegna l’immagine impietosa di un giovane eroe che perde la vita sotto gli occhi del pubblico nell’ardore della lotta. Qui c’è l’assurdo di un atleta nel fiore dell’energia che si spegne dentro il segreto del sonno senza una ragione apparente. Il senso di questo cordoglio attonito, della sua componente metafisica, è colto bene da Enrico Ruggeri in vena ungarettiana: “Passiamo la vita a correre e competere, ognuno alla ricerca del suo gol personale. Poi qualcuno stacca la foglia dall’albero…”. Gli antropologi insegnano che ogni rito funebre contiene insieme il dolore e il rispetto ma celebra anche un inconscio esorcismo nei confronti del destino, insondabile e immanente. E’ questo forse il senso più profondo della riflessione che deve accompagnare una giornata senza rumore se non quello di una foglia che cade…
Nella realtà era una giovine quercia alta e solida, Davide Astori, centrale di difesa, capitano in campo e nella vita. “Il rinvio delle partite adesso non conta nulla… stringiamoci in silenzio e ricordiamo Mario”, aveva scritto il giorno in cui morì Morosini. Se ne va a 31 anni appena, lascia una donna molto amata e una figlia di due anni, lo accompagna alla terra una solida reputazione di galantuomo. La forza di Davide, appunto. Gigi Buffon, un decano solitamente molto asciutto, la riassume così: “La tua piccola bimba merita di sapere che il suo papà era una grande persona perbene…. eri l’espressione migliore di un mondo antico, superato, nel quale valori come l’altruismo, l’eleganza, l’educazione e il rispetto verso il prossimo la facevano da padroni”. Ai molti che si sono interrogati se fosse davvero opportuno fermare tutto, compreso il derby di Milano, risponde una semplice verità. Il campionato non è stato sospeso dalla decisione, peraltro tempestiva, di Giovanni Malagò e di alcuni presidenti. No. Sono i giocatori, nessuno escluso, che hanno deciso di fermarsi in raccoglimento, di non scendere in campo per la consueta rappresentazione, di far vincere il rispetto e i valori antichi di cui parla Buffon.
C’è da sperare che se ne ricordino tutti, protagonisti e spettatori, quando il vento freddo di questa domenica bestiale si sarà posato, gli spalti torneranno a rumoreggiare e il tifo ad avvelenarci. Il ricordo di Astori andrà a collocarsi nel grande puzzle della memoria condivisa dagli sportivi. Nulla potrà lenire lo strazio di Francesca, della piccola Vittoria e della famiglia a cui vanno i pensieri e l’abbraccio della Gazzetta. Ma se è pensabile rintracciare un senso, seppur remoto, in questa tragedia è tutto nella speranza che davvero sia servita ad aprirci gli occhi. Talvolta ascoltare il silenzio ci rende migliori.