Fossero nati una sessantina d’anni prima, magari Ivo Andric avrebbe speso qualche pagina del suo «Ponte sulla Drina» per tratteggiare la profondità dell’amicizia tra Edin Dzeko e Aleksandar Kolarov, un bosniaco musulmano e un serbo ortodosso, stretti da quel ponte immaginario che univa prima Manchester e ora Trigoria. Per carità, qui non è Visegrad, non c’è divisione, la convivenza non è forzata. C’è, piuttosto, un legame che va oltre. Mica scontato, neppure 26 anni dopo la guerra in Bosnia. E lo dimostra (anche) una chiacchiera che viene fuori a un certo punto della festa a sorpresa di Dzeko, domenica sera. Presente Kolarov, unico compagno di squadra invitato da Amra Silajdzic, moglie dell’attaccate bosniaco. E poi intorno anche altri commensali, qualcuno di nazionalità croata. Uno dei presenti dice: «Guarda qui, cos’è cambiato? A cosa doveva servire quella guerra, a dividerci? Siamo tutti qui insieme, a divertirci».
FEELING – Si diverte anche la Roma a vederli duettare in campo. Un terzino e un centravanti avrebbero mille buone scuse per ignorarsi, per salutarsi giusto se necessario, come due condomini sul pianerottolo. Macché. Dzeko e Kolarov si cercano come fratelli. Non c’è compagno da cui Edin abbia ricevuto più passaggi, forse sarà perché Aleksandar quando alza la testa si fida soltanto di lui: 96 passaggi tra campionato e Champions, di cui solo 18 sono cross, il resto sono preghiere all’amico affinché l’azione scorra nella maniera giusta. E il feeling è ovviamente corrisposto. Nainggolan a parte (per una questione di vicinanza), è a Kolarov che Dzeko ha trasferito il pallone più volte: 56. Per chi è attento alle cose di Roma, sembra una riedizione a 20 anni di distanza dei duetti tra Francesco Totti e Vincent Candela. Qui c’è più forza e meno poesia, ammesso che poesia non sia anche ammirare i baci e gli abbracci tra Edin e Aleksandar.
CAPITANI – Uno è capitano della Bosnia, l’altro lo è appena diventato della Serbia. Ma si sono conosciuti sotto la bandiera del Manchester City e non hanno mai interrotto il loro rapporto. Il l bosniaco vive a Casal Palocco, il serbo da solo all’Eur – moglie e figli sono ancora in Inghilterra – e molto spesso è a casa dell’amico. Sul braccio di Aleksandar c’è un tatuaggio con una scritta: «Tutte le strade portano a Roma». E infatti per la vita ha più o meno lo stesso piano di Edin: fermarsi a vivere da queste parti, una volta smesso di giocare. Prima, però, insieme vogliono togliersi lo sfizio di vincere in giallorosso, dopo esserci riusciti in Premier. E magari spaventare il Barcellona, dal quale sono stati eliminati due volte agli ottavi di Champions: «Loro sono favoriti – ha detto Dzeko dal ritiro della nazionale –, ma se giochiamo ancora una volta da squadra possiamo fare qualcosa di buono. Anche nel girone con l’Atletico Madrid tutti ci davano per spacciati…». Uniti si può. In fondo fu così che a Visegrad riuscirono a costruire il ponte.