Gli arbitri sbottano. E dicono: non ce la facciamo più. Marcello Nicchi, il loro capo, convoca i giornalisti nella sede e pronuncia in una conferenza stampa un vero e proprio j’accuse: rimborsi non pagati, minacce, violenze, direttori di gara convocati in tribunale. Le denunce avvengono in una conferenza stampa, organizzata nello stesso luogo in cui due settimane fa sono arrivate al suo indirizzo, a quello del suo vice, Narciso Pisacreta, e al designatore Nicola Rizzoli, tre buste. Contenevano presumibilmente tre proiettili. In realtà ne è stata aperta soltanto una, quella per Nicchi, scoprendo la pallottola. A quel punto gli altri plichi non sono stati aperti, ma consegnati alla Digos. Che ha aperto l’inchiesta, ora affidata al procuratore aggiunto di Roma, Francesco Caporale, titolare dell’antiterrorismo, che indaga sull’ipotesi di reato di minacce aggravate. Il numero uno dei direttori di gara mette in relazione l’accaduto con un altro episodio: «C’è un giornalista professionista che in una trasmissione ha affermato: “Bisogna sparare agli arbitri e non permettere loro di arbitrare”. Questa è la conseguenza».
VIOLENZE – Il discorso di Nicchi illustra un’emergenza trasversale che lega il «clima» che circonda il calcio di vertice e quello della Seconda e della Terza categoria, i campionati dove si concentra il maggior numero di aggressioni, verbali e fisiche, agli arbitri. I dati della stagione scorsa rischiano di essere superati: siamo già a 300 aggressioni con 100 ricoveri al pronto soccorso. «Non è più accettabile che si continui a picchiare ragazzi di 16 o 17 anni. I genitori ci chiamano preoccupati, e peraltro si lamentano del fatto che da cinque mesi non arrivano i rimborsi e devono pure anticipare la benzina. Noi non chiediamo di darci più soldi, vogliamo solo ciò che ci spetta». Fabbricini ha studiato a fondo la situazione: la pratica arriva all’Aia (che controlla la rendicontazione), poi viene girata in Figc per la liquidazione di oltre 500mila prestazioni in un anno (ne parliamo a lato).
VOCAZIONI – Ma si tratta solo di una parte di un malessere più generale: «Il rischio è di un calo delle vocazioni». Anche perché, spiega Nicchi, «le tessere federali non valgono più niente. I posti sono limitati, gli arbitri non possono andare a vedere le partite, una possibilità che rappresentava spesso anche un movente per cominciare». Ma con chi ce l’ha Nicchi? Con la Figc, ma non con Roberto Fabbricini, persona rispettosa e capace. Non è che c’è pure il fattore due per cento? Il rischio di una cancellazione della rappresentanza elettorale degli arbitri ha senz’altro acceso gli animi. Anche se Nicchi nega, «sono cose che non ci riguardano, a livello istituzionale non se n’è mai parlato». Ma è chiaro che il rimescolamento dei “pesi” potrebbe anche produrre quella soluzione. Quanto allo sciopero, Nicchi per ora fugge da quella parola. «Scioperano i dipendenti, noi siamo volontari». Ma è chiaro che anche quella ipotesi è stata presa in considerazione.
SENZA DIFESE – Due per cento a parte, però, il problema è anche un senso di isolamento della classe arbitrale. Proprio nella stagione della Var, che avrebbe dovuto rasserenare gli animi. Nicchi accusa: non siamo stati difesi. Fino alla convocazione dal giudice di pace di Di Bello, l’arbitro che ha diretto e bene Inter-Milan e che è stato portato da un’associazione di consumatori in tribunale. «Ve li immaginate Messi e Ronaldo trascinati in tribunale per un errore o presunto tale?».